I ragazzi delle case INCIS cap. 8°


Capitolo 8° Le biciclette rosse

 

Anno favoloso il 1956. Era iniziato col suo primo abito da uomo. Un giorno suo padre aveva detto alla mamma:

- Il ragazzo sta crescendo, gli serve un abito vero.- Così Leandro, insieme al padre, era andato in città (chiunque abitasse fuori delle mura medioevali, quando si recava al centro, andava in città ). La sartoria si trovava in una viuzza trasversale a via Calmaggiore, poco prima di giungere in piazza dei Signori. Una vetrina anonima, che necessitava di pulizia, in un vecchio palazzo che aveva visto tempi migliori. All'ingresso una piccola targa in bronzo illeggibile. All'interno, uno spazio unico dove il caos la faceva da padrone: due macchine per cucire, una degna di stare in un museo, due tavoli enormi pieni di ritagli di stoffe, disegni e forbici. E ancora ferri da stiro a carbone, spagnolette di filo di ogni colore, aghi, metri, gessi, campioni di stoffe e riviste di moda. Alle pareti, specchi coperti di fotografie e disegni di modelli d'abito. Un paio di lampadine nude, dove generazioni di mosche noiose avevano lasciato il segno, cercavano di illuminare quella specie d'antro da apprendista stregone.

Il sarto era un uomo piccolo, con una testa spettacolare di cappelli neri tutta onde e brillantina che sparavano schegge di luce in ogni angolo del locale. Leandro fu colpito soprattutto dalle mani dell'uomo. Non stavano mai ferme, tremavano e vibravano neanche avesse il delirium tremens. Il ragazzo le fissava incantato mentre il sarto gli prendeva le misure. Poi rivolse uno sguardo perplesso al padre come a dire:

- Ma questo è in grado di lavorare ?- Il padre gli rispose con un cenno.

- Stai tranquillo, è molto bravo.- Il dialogo muto andò avanti tra sguardi e contro sguardi, ma la risposta non lo convinse. Se quell'uomo avesse infilato un dito in una tazza con dentro un uovo, in pochi secondi avrebbe fatto uno zabaione. Leandro rise al pensiero. Il padre e il sarto lo guardarono come fosse uno scemo. Ci volle del tempo per le misure.

- Questo ragazzo non sta fermo un attimo.- Brontolò il sarto.

- Ah! Sarei io quello che non sta fermo.- Ancora un pò e gli sarebbe venuto il mal di mare. Nonostante i dubbi l'abito era perfetto. In tessuto spigato marrone chiaro, la giacca a tre bottoni. Peccato per i pantaloni: ancora corti. Aveva insistito a lungo, a dieci anni era grande e poteva portare i pantaloni lunghi. Niente da fare, per la mamma era ancora una creatura. Sono strane le mamme. A volte era solo un bambino altre volte era abbastanza grande da  assumersi le sue responsabilità  e allora erano schiaffi che volavano.

L'abito fu inaugurato il giorno della cresima di Giuseppe. Foto di rito davanti alla chiesa parrocchiale di sant'Agnese: Giuseppe con un sorriso da illuminare un albero di Natale, Leandro con un espressione ingrugnita e schifata mentre si guarda le gambe magre e nude. Almeno i pantaloni lunghi avrebbero nascosto quelle ginocchia ossute che sembravano una collezione di cicatrici. Una in particolare, larga e bianca, risaltava moltissimo, conseguenza di una delle tante liti coi ragazzi di altri rioni. Cadendo, una pietra aguzza gli era entrata nelle carni fino all'osso. La mamma si era sentita male quando aveva visto quella macchia candida emergere da un fiume di sangue.

- Gesù, Maria. Hai l'osso scoperto !-

- Ecco cos'è quel bianco- pensò Leandro- però non fa tanto male.- Quella cicatrice divenne in seguito una medaglia al valore da esibire e mostrare agli amici. Così grande e così bella non l'aveva nessuno.

A primavera arrivò la tanta sospirata bicicletta: una Bianchi tutta rossa. Per una strana coincidenza tutti i ragazzi tra i dieci e i dodici anni delle case INCIS, si ritrovarono con una bicicletta, di varie marche ma tutte rosse, di un rosso Ferrari in omaggio al mitico Alberto Ascari. Così una banda di una dozzina di diavoli rossi imperversò e rese la vita impossibile a tutti nel raggio di dieci chilometri.

Il laghetto, poco più di una pozza, alla fine del cavalcavia che portava all'aeroporto, divenne il ritrovo quotidiano da cui partivano accanite gare di corsa. Prima della gara c'era il rituale del tiro ai pesci rossi che abitavano il laghetto. Migliaia di sassi venivano lanciati nell'acqua ma nessuno riuscì mai a colpire il bersaglio. I pesci continuavano indifferenti la loro esistenza. D'inverno, quando il laghetto ghiacciava, era un vero divertimento pattinare con le scarpe, spesso col sedere, a volta con la bicicletta. Le mamme si divertivano di meno; litigavano in continuazione coi mariti per quell'incauto acquisto di biciclette che aveva provocato un aumento delle uscite del bilancio familiare per l'incremento di spese di alcool, cotone, cerotti, filo per rammendare e infine nuove camicie e pantaloni.

Invece respirarono i contadini del circondario; ora le spedizioni di caccia e furto si estendevano verso territori più lontani, ancora vergini. Era uno spettacolo vedere una fila di bolidi rossi sfrecciare per le strade bianche, con le tasche piene di pannocchie di granturco o altro, inseguiti da imprecazioni e bestemmie. Qualche volta fucilate a salve. Una volta ci fu un incidente.

Le biciclette erano state sequestrate dalle mamme(capitava di sovente) e per passare il tempo i ragazzi decisero di fare una visita all'orto dietro il loro campo di calcio. Si trattava di un piccolo appezzamento di terreno dove un vecchio contadino in pensione si divertiva a coltivare un pò di verdure: radicchio, cavoli, prezzemolo e qualche cipolla. Ma al centro dell'area c'erano due maestosi alberi di ciliege. Quando i frutti maturavano, diventavano una meraviglia della natura e una continua tentazione per i ragazzi. Il contadino lo sapeva e si preparava disperato alla guerra. Una vera fatica perchè i ragazzi potevano colpire di giorno o di notte, sapevano aspettare pazientemente il momento giusto. Il vecchio non poteva stare fisso lì, aveva le sue esigenze. A quel punto scavalcavano la rete di recinzione, si arrampicavano sugli alberi e, a cavalcioni sui rami più robusti, si gustavano quel ben di dio. Talvolta i frutti non erano ancora maturi, ma andavano giù nello stomaco, che era un piacere.

Appena il proprietario si avvicinava all'orto, i ragazzi lo vedevano da lontano e in un attimo schizzavano via in tutte le direzioni. Quel giorno il vecchio, esasperato dalle continue incursioni, si presentò col fucile caricato a sale grosso e sparò. Caddero in due: Lucianino, colpito in pieno nel sedere e il contadino che, vedendo il ragazzo ferito, si spaventò al punto da sentirsi male. E svenne.

La mamma passò l'intero pomeriggio ad estrarre i cristalli di sale, con una pinzetta, uno ad uno, dal sedere di Lucianino. Le sue urla si sentivano fino a porta Santi Quaranta (- No, ti ripeto che non sono i quaranta ladroni.-). Fuori, davanti alla porta tutti i ragazzi aspettavano in silenzio, a testa bassa come tanti cani bastonati (in effetti, molte mamme non avevano condiviso l'operato dei figli e avevano espresso il loro disappunto con le mani). Ogni volta che Lucianino lanciava un urlo di dolore, sussultavano tutti come se il cristallo di sale fosse stato estratto anche dalle loro chiappe. Giunse anche il contadino, spronato dalla moglie:

- Avanti, fiol d'un can.- In una mano il vecchio teneva il cappello, con l'altra reggeva una busta di carta, piena di ciliegie. L'anno successivo il contadino potè raccogliere tranquillamente le sue ciliegie. Le regalò quasi tutte.

Quando, per il maltempo, non era possibile andare in giro in bicicletta, la banda si riuniva nelle scale di qualche palazzo, per la manutenzione dei mezzi. Erano tutti meccanici provetti, potevano smontare completamente la loro bicicletta e rimontarla in pochissimi minuti. Le biciclette venivano pulite accuratamente, tappati gli eventuali fori delle camere d'aria, ingrassate le catene, controllati i raggi delle ruote, sistemati i freni. Ferri del mestiere: un cacciavite in comune (Bove l'aveva rubato al padre) e come leve per togliere i copertoni delle ruote, cucchiai e forchette di varie fogge, prelevati abusivamente dalle cucine materne. E, visto che i ragazzi sono distratti e tendono a lasciare in giro le loro cose, le mamme si ritrovarono coi servizi di posate ridimensionati drasticamente e reagirono in maniera vivace. Le mamme, si sa, non sono portate per la meccanica.

Il percorso preferito dai rossi centauri per le loro sfide prevedeva la partenza dal laghetto del cavalcavia, con andata e ritorno varie volte secondo l'ispirazione e la voglia. Un continuo saliscendi e, nel finale, l'inizio di via Monte Grappa, un bel rettilineo ampio dove i ragazzi potevano giocarsi la vittoria allo sprint. Non c'erano problemi di traffico, nel primo pomeriggio passavano pochissime macchine; l'unico rischio era di investire qualche pedone distratto o qualcuno dei bambini più piccoli che, essendo senza bicicletta, potevano fare solo da spettatori. Infatti, quando non erano rosi dalla gelosia, facevano il tifo per i loro fratelli maggiori in maniera fragorosa e spesso disonesta come quando Alessandro e Giuseppe avevano seminato il percorso di bucce di mele e di patate.

Quando venivano sfidati i ragazzi di altri rioni allora era una festa e una confusione da giro d'Italia. Gli adulti non gradivano e non collaboravano. Creavano sempre problemi agli atleti quando si trovavano sul percorso di gara. Donne in bicicletta che si spaventavano e perdevano il contenuto della spesa sull'asfalto ed erano vere e proprie gincane evitare mele, pomodori, carote e altre cibarie. Così le urla delle donne inferocite si mischiavano a quelle dei ragazzi. Qualche anziano, strappato al dormiveglia sulle panchine del viale, rischiava d'ingoiarsi il mezzo toscano e commentava gli avvenimenti con dei furiosi “ Ma andè in mona”  e altri delicati inviti. Il tutto era condito da un frastuono da bolgia infernale. Infatti, per dare l'effetto motocicletta, con mollette di legno, venivano fissati dei pezzi di cartone che, sbattendo contro i raggi delle ruote, vibravano provocando un fragoroso rumore.

E questo era un altro motivo di contestazione delle mamme che, quando dovevano stendere il bucato ad asciugare si trovavano regolarmente senza mollette che , notoriamente, sono un ottimo materiale da costruzione utilizzabile per vari scopi: pistole, fucili, mitra, fortini tipo Far West e altri giocattoli. Le gare finivano col sequestro delle biciclette, per un periodo variabile da una giornata ad una settimana, secondo il giudizio inappellabile delle mamme. I ragazzi protestavano e cercavano solidarietà presso i padri. Questi, pazientemente, approvavano tutto: le ragioni dei figli e le decisioni delle mogli.  

Il più bravo degli atleti era Renato, forte in salita e velocissimo negli sprint. Vinceva spesso, anche troppo, perciò alla fine le gare persero ogni interesse. Cominciarono le gite fuori Treviso, sempre più lunghe, venti anche trenta chilometri di distanza. In quelle occasioni partecipavano anche le ragazze, Nuccia e Domenica. Renato e Leandro erano contenti di quella presenza femminile, gli altri si limitavano a brontolare.

- Ma perchè non se ne stanno a casa a giocare con le bambole.-

Quell'estate fu particolarmente afosa, a fine giugno il caldo aveva raggiunto temperature africane. I venditori di ghiaccio fecero affari d'oro, bisognava riempire la ghiacciaia ogni giorno per mantenere frutta, verdure e bevande fresche. I ragazzi ne approfittavano per succhiare continuamente pezzi di ghiaccio con gusto e gran piacere neanche fossero gelati alla menta.

Un pomeriggio che la noia e la canicola scioglievano anche i pensieri, un gruppo di ragazzi partì alla ricerca di fresco. Seguirono la strada principale fino a Paese poi deviarono in un viottolo verso l'interno della campagna. Due filari di faggi, come una galleria naturale, facevano da velo ad un sole dispettoso ed era piacevole pedalare all'ombra di quei grandi alberi. Si fermarono presso un ruscello per bere.

- Non vorrete bere quell'acqua ?- La domanda di Domenica esprimeva lo stesso disgusto della sua faccia. 

- Perchè no ?-

- Ma è piena di girini!- continuò Nuccia.

- Avete ragione. Bove preferirebbe delle rane adulte.- Lucianino non perdeva l'occasione per punzecchiare l'amico.

- Non temere, te ne lascerò qualcuno.- A volte Bove sapeva rispondere con le parole non solo coi pugni.

- Io non la bevo.- Giacomo fece sapere la sua opinione e si beccò il solito coro:

- Altrimenti lo dico alla mamma.- Lucianino se ne uscì con una delle sue assurde domande.

- Perchè le rane da piccole si chiamano girini, crescendo ranocchi e da adulti rospi ?- Nessuno gli rispose, solo Domenica lo guardò con un'espressione di compatimento. Dopo aver bevuto ed essersi tirata l'acqua addosso, i ragazzi ripresero il viaggio senza meta. Girarono per la campagna senza incrociare nessuno.

A quell'ora, con quel caldo, anche i contadini preferivano indugiare a casa. Non dispiacevano quella calma e quel silenzio, c'era qualcosa di magico nel verde scuro di quel viale senza fine e nell'oro del frumento, puntinato dal rosso dei papaveri. Il cielo era di un azzurro luminoso e, in fondo all'orizzonte, solo una piccola macchia di nubi.

Si ritrovarono all'improvviso davanti ad un enorme cancello di ferro, tra due pilastri con sopra statue di pietra così corrose dal tempo da sembrare caricature di uomini. All'interno, un giardino spoglio e incolto faceva da cornice ad un viale con pochi cipressi; in fondo una villa antica, una costruzione a due piani. La parte centrale sembrava un tempio greco: presentava quattro colonne in stile ionico che sorreggevano un ampio frontone decorato da figure in bassorilievo, lateralmente partivano due lunghi portici. Malgrado lo stato d'abbandono, la villa conservava una bellezza fiera che colpì i ragazzi.

- Che meraviglia, sembra una chiesa.- Fu Domenica la prima a riprendersi dall'incanto.

- Magari sembra più un tempio romano o greco.- Leandro parlava poco ma aveva il vizio di puntualizzare e correggere gli errori altrui.

- Antipatico!- E per definire meglio la sua opinione, Domenica tirò fuori mezzo metro di lingua. I due non andavano molto d'accordo.

- Non te la prendere -disse Lucianino all'amico- Domenica ha un carattere così scorbutico che sembra più un venerdì.- Anche Lucianino si guadagnò il suo mezzo metro di lingua.

-Scommettiamo che io conosco l'autore e voi no ?- Matteo cercava sempre di mettersi in mostra con la sua presunta maggior cultura.

- Io lo so.- Giacomo cercò d'inserirsi nella discussione ma Matteo ignorò  l'interruzione.

- Si chiamava Palladio ed era un architetto.-

- E chi lo dice che questa villa è del Palladio.- Questa volta era Leandro a replicare al saccente.

- Perchè il Palladio ha costruito molte ville nel Veneto. E si è fatto aiutare da un pittore e da uno scultore famosi. Mio padre mi ha comprato l'enciclopedia. Tu ce l'hai l'enciclopedia?- Nessuno di loro possedeva un'enciclopedia. Quello era un vero colpo basso. Leandro tacque.

- E come si chiamavano i due famosi ?- Renato intervenne nell'erudita discussione.

- Il pittore non me lo ricordo, credo fosse veronese o giù di lì. Lo scultore Casanova.-

- Veramente Casanova non faceva lo scultore.- Leandro tornava all'assalto.

- E cosa faceva ?- L'espressione di Matteo era un misto di disprezzo e di superiorità.

- L'amatore.-

- E che mestiere sarebbe l'amatore ?-

- Si faceva pagare dalle donne, scemo- l'intervento era di Giulio Cesare- poi le scolpiva nude.-

- Siete i soliti sporcaccioni.- Nuccia e Domenica si allontanarono dal gruppo.

- Vuoi dire che le modelle erano donne poco serie ?- Matteo era perplesso, nella sua enciclopedia non c'era scritto niente sull'argomento e anche le fotografie, moltissime, non rappresentavano mai donne nude.

- Certo, la storia della pittura e della scultura è piena di donne poco serie che si spogliavano nude a cominciare da Eva.- Giulio Cesare si godeva tronfio il suo momento.

- Ha ragione Giulio Cesare - anche Bove doveva dire la sua- lo dice sempre anche mio padre.-

- E cosa dice ?-

- Puttana Eva.-

- Ma che stronzate state dicendo- a quel punto Leandro perse la pazienza-  ma voi i libri li leggete o vi ci sedete sopra ?- In fondo al viale apparve una macchina, un punto scuro dentro una nuvola di polvere.

- Scommettiamo a chi indovina prima il modello?- La villa scomparve dalla mente dei ragazzi che tornarono a discussioni meno colte. Ma fu una bella passeggiata.

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