I ragazzi delle case INCIS cap 6°


Capitolo 6° Teatrino


Il Signor Maestro era un uomo alto e grosso che rassomigliava a Mario Riva, il presentatore della trasmissione televisiva “Il Musichiere”. Era un tipo sempre allegro e cordiale e disponibile con tutti i genitori. Si chiamava Umana e gli piaceva scherzare col suo cognome dicendo che della scuola lui aveva una concezione molto “ Umana”. In realtà preferiva essere chiamato Signor Maestro (maiuscolo) e in classe sistemava i figli dei ricchi nei primi banchi, gli altri a seguire con, all'ultimo posto, i figli degli operai. Leandro che doveva stare in una posizione intermedia, visto che veniva classificato appartenente alla piccola borghesia (per via del padre impiegato statale), era stato sistemato nell'ultimo banco, all'angolo vicino alla finestra. In realtà era arrivato ad anno scolastico inoltrato e quello era l'unico posto libero, ma avrebbe mantenuto la stessa posizione per i cinque anni delle elementari. Certo che faceva uno strano effetto, nelle foto di classe, quel piccolo volto scuro risaltare come una macchia tra tanti visi pallidi.

A Leandro non interessava molto il suo posto in aula se non per il fatto che le bacchettate partivano sempre dalla terza fila in su. Ma il Signor Maestro era molto democratico, aveva persino messo suo figlio in seconda fila, perchè lui non faceva parzialità. Per lui tutti i bambini erano uguali e, in effetti, col loro grembiulino nero, l'enorme colletto bianco e il nastro celeste annodato, non si vedevano differenze. Poi, a farci caso, c'erano varie sfumature di nero in base alla qualità delle stoffa e alla quantità di passaggi tra un fratello e l'altro. C'erano colletti inamidati e ricamati come merletti, bianchi di un candore abbacinante e altri lisci di un color bianco sporco, dove macchie indelebili di moccio raccontavano altre storie.

Il figlio del dottore, bello, biondo e ricciolino, di nome Gabriele (ma  chiamato dai compagni “l'arcangelo”) imparava subito e facilmente le poesie a memoria e le recitava a tutta la classe sotto lo sguardo compiaciuto del Signor Maestro. Il suo cavallo di battaglia era “Pianto antico”. Ogni volta che veniva una qualche autorità (l'arciprete  o un importante consigliere comunale), Gabriele cominciava a declamare: L'albero a cui tendevi la pargoletta mano- il verde melograno dai bei vermigli fior.- tutti i bambini speravano che prima o poi l'albero si seccasse. L'altra faccia della medaglia era Ginetto, un bambino scemo ma talmente scemo che ogni volta che il Signor Maestro lo chiamava, si metteva a piangere. Ginetto non parlava mai, neppure coi compagni e non si portava la colazione da casa. Un giorno, con grande sorpresa di tutti, si levò in piedi, alzò la mano e disse:

- Signor Maestro...-

- Aspetta.- Il Signor Maestro stava spiegando le operazioni dell'aritmetica, così Ginetto rimase in piedi dieci minuti con la mano alzata. Poi, da sotto il suo banco, un rivolo di uno strano liquido cominciò a correre sul pavimento. Quando il Signor Maestro si accorse dell'accaduto, scoppiò il finimondo. Ginetto fu esposto davanti alla cattedra al ludibrio di tutti e il Signor Maestro, per un tempo infinito, spiegò i danni di una cattiva educazione, le differenze tra gli uomini e altre cose di capitale importanza. Ginetto stava a testa bassa e sembrava diventare sempre più piccolo sotto il peso di tante parole. Qualcuno nei primi banchi sorrideva, negli ultimi erano un pò distratti. Leandro guardava fuori della finestra; i primi germogli sugli alberi del cortile annunciavano l'arrivo della primavera. Finalmente fu chiamato un bidello che, dopo aver pulito il pavimento con uno straccio, accompagnò Ginetto a casa sua. Il Signor Maestro recuperò l'abituale sorriso e cominciò a spiegare la divisione.

Leandro non aveva nessuna opinione del Signor Maestro, in genere diffidava degli adulti, di tutti. Non li capiva, anche i suoi genitori a volte sembravano così distanti. Ma il maestro Umana fece molto per lui. All'esame di terza elementare rischiò di essere bocciato e di non essere ammesso al quarto anno. Aveva svolto il compito scritto come faceva sempre e all'orale aveva risposto a tutte le domande. Ma il suo scritto non era piaciuto alla commissione. Quel bambino scriveva di cose strane con un linguaggio altrettanto strano. Corretto da punto di vista grammaticale ma certamente immaturo. Il Signor Maestro, spalleggiato dal padre di Leandro, aveva fatto uno scandalo, quasi aveva aggredito i membri della commissione d'esame.

- Ma come, volete bocciare il primo della classe.-

Leandro neanche sapeva di essere il primo della classe. Aveva sempre avuto buoni voti ma la sua spaventosa timidezza gli impediva di mettersi in mostra, anzi, tendeva a nascondere e a minimizzare tutto quello che faceva. Del resto, a fine anno scolastico, c'era sempre qualcuno (il figlio del dottore) che finiva con l'avere una pagella migliore della sua. Lui finiva regolarmente al secondo posto insieme al figlio del Signor Maestro. Uno scendeva e l'altro saliva. Si trattava di un'originale applicazione del principio dei vasi comunicanti.

- Ci vuole equilibrio nelle cose della vita.- Era una delle frasi preferite del Signor Maestro. Indifferente alla filosofia e a qualsiasi forma di competizione, Leandro si teneva lontano dalle luci della ribalta: la sua timidezza era un antidoto alle tentazioni della vanità. Sapeva di appartenere alla categoria degli orgogliosi ma si mascherava da modesto per passare inosservato. Non sapeva allora che la vita gli avrebbe preparato molti palcoscenici e pubblici ostili. Non amava la scuola come tutti i bambini ma sopportava gli orrori dell'insegnamento scolastico per una sola e valida ragione: la biblioteca. La sua insaziabile fame di lettura era soddisfatta dai tanti libri che non poteva certo comprarsi.

Al quinto anno, alla fine dell'inverno, il Signor Maestro convocò tutti i genitori.

- Carissimi genitori, il mio più grande desiderio è vedere i miei ragazzi tutti promossi all'esame.-

- Che cara persona ! - Pensarono tutti i genitori.

- Perciò avrei pensato di aiutarli fuori dell'orario scolastico. Se siete d'accordo, per un paio di mesi, farò delle ripetizioni a tutti. Una, due ore ogni pomeriggio.- Nel silenzio che seguì, qualcuno provò mentalmente a fare dei conti ma la maggior parte dei genitori non aveva bisogno di fare conti. Si sentirono subito come imputati davanti al giudice che sta per emettere la sentenza. Fuori della scuola il cielo si rabbuiò, come prima di un temporale.

- Naturalmente non voglio nulla. Lo faccio solo per l'amore che nutro per i miei scolari.-

- Che brava persona ! - Pensarono tutti ed anche il sole, da dietro le nuvole, riprese a sorridere. La proposta fu accettata all'unanimità. I ragazzi, quando furono informati della decisione, non furono molto contenti. Altre ore rubate al gioco. Alla fine dell'anno scolastico, uno dei genitori si fece promotore di una riunione di tutti i genitori e propose “un petit cadeau” (Un regalo, insomma! ) come giusto riconoscimento per una persona così squisita e generosa.

Il Promotore era un signore dall'aria importante. Tutto in lui denotava la persona sicura, abituata a decidere e comandare, un vero capo. L'abito grigio perfettamente stirato, la camicia bianca e la cravatta reggimentale con un perfetto nodo scapino. Gli occhiali di tartaruga gli davano un immagine di persona colta e poi il parlare così raffinato, la voce suadente, come notò una signora dal petto prorompente. Fu facile per il signor avvocato (-Uno che parla così bene dev'essere per forza un avvocato.- Pontificò la signora monopetto.) convincere i presenti tanto più che la maggioranza non aveva aperto bocca. Fu proposta la cifra di diecimila lire a testa. Molti sbiancarono, qualcuno si sentì male.

- E'il caldo, a volte a giugno fa un caldo anormale.- Una signora vestita con un abito grigio a fiori, lavato e rilavato che non si capiva più il disegno, disse alla vicina:

- Se avessi diecimila lire, comprerei scarpe nuove ai miei figli che a forza di passarsele l'uno all'altro anche il calzolaio si rifiuta di aggiustarle.- La discussione prese toni da dibattito politico: tutti si parlavano addosso. Allora intervenne il signor Dottore che col suo carisma poteva calmare gli animi e trovare una soluzione.

Il dottor Fini aveva una gran passione nella vita: i cani di grosse dimensioni. Ne possedeva ben cinque di razze diverse: un mastino napoletano, un alano, un bull-dog, un San Bernardo e uno di razza non ben definita ma, come gli altri, grande quanto un cavallo. Anche il suo studio medico era tappezzato di grandi fotografie rappresentanti cani di varie razze, tutti enormi e ringhianti con delle fauci enormi e denti che sembravano pugnali. Nessuno dei pazienti in attesa osava sollevare la testa, era preferibile studiare il pavimento piuttosto che posare lo sguardo, anche un solo attimo, su quegli animali usciti dall'inferno. Anche il dottore, a ben guardare, somigliava ad un cane, con quelle gote che gli penzolavano fino al colletto della camicia e la voce simile ad un ringhio. L'intervento del medico tuttavia non ebbe successo. Il dottor Fini, redivivo Ponzio Pilato disse:

- Io me ne lavo le mani. Fate voi. Ho i miei pazienti che mi aspettano e non posso perdere tutto questo tempo. Fatemi sapere quant'è la quota e io vi manderò la mia serva con i soldi.- E uscì tronfio e impettito come Garibaldi dopo l'incontro di Teano. Un operaio dal faccione bianco e rosso, che sembrava la pubblicità della fabbrica Lanerossi, e due mani grandi come pale, disse, con parole avvinazzate, che il dottore aveva ragione. Tempo rubato al lavoro(e all'osteria) e se ne andò. Una signora piccola e gentile fece notare che s'era fatto tardi e doveva preparare il pranzo. Gli ultimi rimasti decisero per tutti.

- Cinquemila lire e non se ne parli più.-

Il signor Promotore fu incaricato della raccolta dei fondi. Più di uno si rese irreperibile e infine la cifra raggiunta fu di ottantamila lire. Non male nel 1957. Un piccolo gruppo di genitori, guidati dal signor Promotore, s'incaricò di portare il presente, otto lenzuola da diecimila lire chiuse in una grande busta commerciale, al Signor Maestro. Il quale ringraziò per il gentile pensiero, si commosse pure ma poi spiegò che c'erano state delle complicazioni, degli imprevisti, delle spese extra e concluse, tutto d'un fiato senza mai respirare:

- Due-mesi-per-un ora-al-giorno-per-cinque-giorni-alla-settimana-per- ventotto-bambini-e-lasciamo-perdere-tutte-le-ore-extra-per-le- assenze-e-la-fatica-e-i-sacrifici-tutto-per-amore dei-vostri-figli- chi-lo-avrebbe-mai-fatto-insomma-non-si-può-fare-per meno-di- cinquecentomila-lire.-

- CINQUECENTOMILALIRE !!-

Furono le prime e ultime parole pronunciate dal signor Promotore che si dedicò subito allo studio delle sue scarpe. Erano in vera pelle, nere e lucidissime; c'era un granello invisibile di polvere sulla punta. Mai visto prima. Anche gli altri uomini presenti, forse condizionati dal loro leader, si misero ad ispezionare le loro calzature. Di origini meno nobili e con diverse anzianità di servizio, meritarono solo uno sguardo fugace e deluso. Gli uomini decisero di studiare meglio i disegni delle mattonelle del pavimento.

Il Signor Maestro aspettava sorridendo come sempre, ad ogni attimo che passava sembrava diventare ancora più alto e grosso davanti a quei piccoli uomini dai piccoli pensieri. Dopo pochi istanti lunghi un eternità, la signora dal petto prepotente si rivolse al signor Promotore:

- Ah, se lei ci avrebbe fatto i cazzi suoi !- Il Signor Maestro smise di sorridere, sorpreso e scandalizzato da un linguaggio tanto greve. Tutti gli uomini sollevarono lo sguardo da terra, strappati dalle loro profonde e, di sicuro, proficue  meditazioni.

- Ma signora !- Cominciò col dire il Signor Maestro ma la donna gli girò le spalle e, seguita dalle altre signore, si avviò verso l'uscita. Gli uomini, incerti sul da farsi, rimasero fermi, giusto il tempo per sentire una voce femminile spiegare alle altre signore:

- Gli uomini, che stronzi !-

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