I ragazzi delle case INCIS cap 13°


Capitolo 13° Dove vanno le nuvole

 

Non erano molte le persone che in qualche maniera potevano influenzare i pensieri e la vita di Leandro. Il carattere chiuso e una spiccata tendenza all'introspezione lo portavano ad un esasperata forma di egocentrismo, con gli altri a far da contorno alla sua vanità. Ma come tutti i timidi passava da momenti di auto esaltazione dove si metteva sopra ad un piedistallo, per una sua presunta superiorità, a momenti di profondo sconforto, quando  si considerava l'ultimo degli uomini. Nel suo mondo, circondato da mura invalicabili solo tre persone riuscivano a trovare uno spazio per entrare: il padre, la nonna materna e, per motivi assai particolari, Nuccia.

Col padre Leandro parlava poco ma non era importante. Sapeva che in caso di necessità il padre sarebbe stato al suo fianco. Gli dava un senso di sicurezza guardare quel volto illuminato da un sorriso franco e leale, le parole erano inutili: loro due si capivano al volo. C'era una complicità in quel silenzio che neanche la mamma riusciva a capire. Leandro sapeva di essere totalmente diverso dal padre. Quel piccolo uomo aveva una serenità e una grandezza interiore che lo portavano ad avere un atteggiamento positivo verso gli altri. Le cattiverie della vita non lo avevano ancora ferito. Leandro, invece, aveva dentro un male oscuro che non riusciva ad identificare e a curare. Suo padre era un simbolo, un esempio che avrebbe voluto seguire.

A volte gli capitava di pensare che la vita è un viaggio con una valigia piena di cose messe dagli altri. Di tuo manco lo spazzolino da denti.

Il rapporto con la nonna invece era una vera stranezza. Leandro era il primo nipote maschio e di gran lunga il preferito della nonna. Il fatto provocava brontolii e mugugni tra i parenti, tutta gente che in altri tempi avrebbero potuto aspirare al titolo di cavaliere di braghetta .

Nonna Nicoletta abitava in Sardegna, in un paese in provincia di Sassari, ma almeno una volta all'anno raggiungeva la figlia a Treviso. L'idea era di rimanere qualche mese, in realtà finiva col fuggire dopo poche settimane. Il clima e l'ambiente non erano di suo gradimento. Esistevano infatti due nonne. Quella che abitava al paese natio era un donnino vivace, pieno di energie. Vestiva col costume tradizionale e il più delle volte girava scalza. Sempre in movimento, col suo passo saltellante, un passo-un-trotto, sempre pronta a dare una mano a tutti, ai vicini di strada, ai parenti all'altra parte del paese oltre che, naturalmente, ai figli e agli innumerevoli nipoti.

Nonna Nicoletta era analfabeta e non conosceva la lingua italiana, parlava solo in sassarese, con la tipica cadenza locale, ma si faceva capire benissimo anche per la sua vivace intelligenza e una mimica straordinaria. Leandro non l'aveva mai sentita dire una sola parola in italiano. Solo una volta, per l'eccezione che conferma la regola. Un giorno un signore elegante aveva bussato alla sua porta in cerca del marito. Lei si era limitata a dire, più coi gesti che con le parole, che non c'era. Ma mentre l'uomo si stava allontanando, in fondo alla strada apparve il nonno che rientrava dalla campagna. Allora la nonna era corsa dietro allo sconosciuto e, con una straordinaria invenzione linguistica ricca di musicalità, lo chiamò:

- Aspettando che venando mio marito.-

La nonna di Treviso vestiva in maniera moderna. Sempre in nero, camicia, gonna, calze e scarpe col tacco basso. Niente fazzoletto in testa. I capelli, incredibilmente neri senza un filo di grigio, raccolti in un unica treccia che arrotolava e fissava alla nuca con una serie di forcine. Era uno spettacolo, la notte, quando prima di andare a dormire, la nonna scioglieva i capelli che, lunghissimi coprivano tutta la schiena, per spazzolarli. I ragazzi si sedevano davanti a lei come se fosse la televisione e assistevano a quella lunga operazione scherzando e facendo domande.

Le risposte non avevano alcuna importanza. Quelle chiacchiere, coi ragazzi che parlavano solo italiano e la nonna, che qualche volta non capiva ma rispondeva lo stesso erano un concentrato di non-sense e di allegria. La nonna stava agli scherzi perchè sapeva che i ragazzi non ridevano di lei ma con lei. Leandro era contento della sua presenza anche se doveva dormire insieme al Giuseppe ai lati opposti dello stesso letto perchè il suo passava alla nonna. Erano battaglie infinite sotto le coperte. Calci e sopratutto scoregge che in poco tempo trasformavano la stanza in una camera a gas. La nonna si lamentava.

- Cori meu, beddi fiagghi! Chisti pizzinni so sempri truddiendi.- (Cuore mio, che puzza. Questi ragazzi stanno sempre scoreggiando) Allora entrava la mamma, spalancava la finestra e cominciava a dare colpi di scopa sopra il letto dei ragazzi. Sotto le coperte, i due bombardieri si difendevano come potevano. Ma la nonna era paziente e perdonava. Metteva una mano dentro una piega della camicia da notte, recuperava da una tasca nascosta un borsellino e regalava ai due pestiferi nipoti cento lire a testa. Mai una scoreggia fu pagata meglio.

La famiglia di Leandro si era trasferita alle case INCIS nella primavera del 1953, ultimo palazzo, ultimo piano. Un anno dopo si liberò un appartamento nel primo palazzo e fu subito guerra tra l'esimio dottor Gianadelio Grassi, un metro e sessanta d'altezza ma un metro e novanta per prosopopea e importanza, e l'usciere Raffaello Sanna. Il primo round fu vinto dall'importante funzionario, cui fu provvisoriamente attribuito l'appartamento. Ma il padre di Leandro era un tipo testardo o meglio, come dicono dalle sue parti, uno tirioso e, all'enorme velocità di dieci battute al minuto, preparò, sulla macchina da scrivere, un ricorso degno di un principe del foro. Vinse la causa e la casa. Nel frattempo si era liberato un altro appartamento e i due contendenti trovarono un accordo amichevole.

Il dottor Grassi, siciliano, moglie e due figlie, andò ad occupare  l'appartamento al secondo piano della scala B, ingresso monumentale, quattro camere da letto, salone, cucina da ristorante, due bagni, un ripostiglio e un terrazzo che sembrava un campo di bocce. Il signor Sanna, sardo, moglie e tre figli, si fermò al primo piano sempre della scala B, due camere da letto, salottino, cucina piccola e un bagno abbracciati da un corridoio strettissimo e buio. Anche il terrazzo era piccolo. Leandro non aveva capito molto bene le spiegazioni del padre: a persona importante casa importante e viceversa.

- Ci sono questioni di principio e di diritto- Sosteneva il ragazzo, dimostrando una maturità inconsueta.

- Ci sono anche ragioni di opportunità.- Replicava il padre, forte della sua esperienza di vita. Pazienza: in ogni caso c'era un fatto davvero positivo. Nuccia e Leandro diventarono vicini di casa perchè Nuccia era la figlia maggiore del dottor Grassi.

Nuccia era bella, come solo sanno essere le donne di Sicilia. Lunghi cappelli neri raccolti in trecce legate da nastri colorati, diversi ogni giorno, e grandi occhi scuri, così luminosi che confondevano i sogni di Leandro. Vederla e innamorarsene era stato un attimo anche se aveva solo sei anni e lei uno in più. Il problema era che tutti i ragazzi delle case INCIS erano segretamente innamorati di lei ma Nuccia, come una principessa, si limitava ad accettare con condiscendenza l'universale ammirazione senza dare confidenza a nessuno.

Stava sempre con la sorella minore, una bambina brutta e insignificante che viveva di riflesso e con Domenica, l'amica del cuore. Partecipava quasi sempre ai giochi degli altri ma aveva un aria distaccata quasi fosse un dovere. Malgrado ciò aveva sempre il ruolo principale, quando c'era un ruolo femminile importante. Renato era il suo “cavalier servente”  e la persona più vicina come amico. Leandro la guardava da lontano cercando di cogliere nei suoi occhi un cenno d'interesse, un segno di complicità ma lei era sempre fredda e distaccata. Neanche un piccolo sorriso per lui. Lontana come una stella in cielo. Aveva provato ad avvicinarsi ma le parole gli morivano in gola. Rimaneva muto e paralizzato come un sasso. Lei lo guardava impassibile, aspettava che lui dicesse qualcosa ma Leandro era una statua di ghiaccio. Fuori. Dentro un vulcano di emozioni e desideri. E si dava dei pugni mentalmente.

- Scemo. Sei il più scemo del mondo.- Così la timidezza e la gelosia divoravano il cuore del ragazzo. Per anni si portò dentro quel sentimento doloroso, solo Giulio Cesare era al corrente del suo segreto.

Poi un giorno accadde qualcosa che cambiò la storia. Leandro frequentava la quarta elementare, Nuccia la quinta. Durante l'intervallo, nelle belle giornate, gli scolari uscivano in giardino per fare la ricreazione. Leandro era insieme ai suoi compagni, all'altro lato del cortile Nuccia chiacchierava con due amiche. Ad un tratto le si avvicinarono due ragazzi che Leandro non conosceva.

- E questi cosa vogliono ?- Pensò, poi fingendo indifferenza si avvicinò al gruppetto che rideva e scherzava. Anche Nuccia rideva di gusto e la sua voce squillante fu come una pugnalata all'umore cupo di Leandro. Ci fu un battibecco tra i ragazzi, parole pesanti, qualche spintone e nella confusione della lite, Leandro colpì con uno schiaffo Nuccia. La scena si bloccò di colpo, tutti si fermarono come paralizzati mentre dal naso della bambina cominciò a scorrere un rivolo di sangue. Quell'immagine sconvolse Leandro. Aveva ferito la persona più importante della sua vita. Fuggì disperato e si rifugiò in classe.

La lezione ricominciò ma il ragazzo non sentiva niente, immerso in pensieri cupi si malediceva per la sua meschinità e cattiveria. Non lo aveva fatto apposta ma questo non sminuiva la sua colpa. Poi bussarono alla porta ed entrarono il direttore, un insegnante e Nuccia che, con un fazzoletto macchiato di sangue, si tamponava il naso. Leandro capì che era giunta la sua ora ma non aveva paura, era pronto a pagare. Se sotto di lui si fosse aperto l'inferno si sarebbe buttato senza esitazione.

- Voglio sapere chi è il mascalzone che ha colpito questa bambina ?- La voce del direttore tuonò terribile e cadde sui ragazzi come un fulmine di Giove dall'Olimpo. Tremarono tutti anche gli innocenti.

- Il colpevole si alzi.- Leandro voleva confessare ma quell'uomo spaventoso lo terrorizzava, lo incollava al banco al punto di diventare un blocco unico col legno.

- Bene, molto bene. Anzi male. Ci troviamo davanti ad un vigliacco.- Non era vero. Non era un vigliacco ma era paralizzato.

- Allora qualcuno parli. Dica chi è stato.- Nessuno parlò.

- Omertà, vedo.- I bambini non sapevano minimamente cosa fosse l'omertà ma nessuno avrebbe mai fatto la spia con un adulto. Era l'unica regola che tutti rispettavano. Il direttore invitò Nuccia ad identificare il colpevole. La bambina si mosse tra i banchi scrutando ad uno ad uno il volto degli spaventati imputati.

- Lui no, neanche lui.- Ad ogni esclusione seguiva un sospiro di sollievo. Finalmente si trovò davanti a Leandro. I due si guardarono negli occhi. C'era tristezza nello sguardo di Nuccia e tanta delusione e c'era tristezza nello sguardo di Leandro e tanta vergogna. Passò un minuto lungo un secolo.

- Non è stato lui.- Nuccia si girò e tornò indietro.

Il colpevole non fu mai scoperto. Nuccia non disse niente a nessuno neanche ai genitori. Ma dopo l'episodio i due divennero amici o quasi. La loro amicizia era fatta  di piccoli gesti muti di complicità. Leandro continuava ad adorarla in silenzio ma non era più geloso. Lasciava che gli altri la corteggiassero, che facessero mille sciocchezze per mettersi in mostra tanto nessuno avrebbe potuto spezzare quel nuovo legame che si era formato. A volte, quando non si poteva uscire per il maltempo, si ritrovavano solo loro due sul portone di casa. Seduti sul gradino guardavano il mondo fuori. 

Un pomeriggio che pioveva, Leandro era seduto sognava ad occhi aperti e immaginava mondi diversi dietro le case. Lei arrivò in silenzio, un sorriso fu l'unico saluto, si sedette al suo fianco, si sistemò le pieghe della gonnellina e insieme guardarono il temporale come uno spettacolo cinematografico. La pioggia era una danza di cristalli che, toccando terra, esplodevano in fiori d'acqua e di sabbia e lanciavano nell'aria mille schizzi come petali microscopici. Ogni goccia creava nuove forme, fiori sempre diversi. Il suono leggero e ritmico dell'acqua era una musica che veniva da lontano ad accarezzare la mente. Nel cielo nuvole capricciose disegnavano figure di animali, di piante e volti. Era un gioco dare un nome alle immagini mutevoli, alle fantasie del vento: draghi, cavalli alati, animali mitologici e animali di tutti i giorni.

- Quella nuvola sembra un maiale.-

- Quell'altra un bue.-

- E' vero. Ricorda qualcuno che conosciamo.-

- Si.- E giù a ridere. Era bello restare così, due ragazzi che ridono con gli occhi perduti in un cielo grigio. Non c'era malinconia in quel pomeriggio senza colori.

- Chissà dove vanno le nuvole ?- Domandò ad un tratto Nuccia.

- Fuori dal cielo.- Rispose d'istinto Leandro.

- Ma dai! E' impossibile.-

- Si, ma poi tornano.- Le prime ombre avanzavano nella sera.

- E' ora d andare.-

- Si, è ora.-

- Ciao.-

- Ciao.- Un sorriso accese i loro volti. Nuccia era la speranza della primavera in una giornata triste. Leandro scoprì che era dolce sorridere.

Quando Nuccia compì dodici anni, diede una grande festa. Anche Leandro fu invitato. Quella volta comprò un mazzetto di viole del pensiero, non le rubò come facevano tutti quando serviva qualche fiore. Si mise una camicia bianca (- Mamma, mi raccomando, stirala bene.), recuperò la cravatta della cresima, si pettinò usando la brillantina del padre (mai fatto prima), si lucidò le scarpe consumando crema sufficiente a rifornire un negozio di calzolaio e si presento puntuale al ricevimento (doveva salire solo una rampa di scale).

Fu una serata memorabile anche se lui era il più piccolo degli invitati e si trovava a disagio tra ragazzi più grandi molti dei quali sconosciuti. Domenica lo fece notare a Nuccia.

- Perchè lo hai invitato. E' troppo piccolo e parla pochissimo.-

- Hai ragione - rispose Nuccia - ma è così carino con quegli occhi sognanti.-

Qualche volta Leandro andava a casa di Nuccia per seguire qualche programma televisivo. Il dottor Grassi era stato uno dei primi a comprare quella nuova e fantastica invenzione ma non apriva facilmente la sua casa ai vicini, solo il signor Sanna e famiglia potevano godere di quel privilegio. I due ex duellanti, dopo mesi di polemiche e carte bollate, avevano imparato a rispettarsi e ne era nato un rapporto, se non d'amicizia, di stima e di buon vicinato.

Il tempo correva sempre più in fretta. Nuccia diventava ogni giorno più bella. Le lunghe gambe sotto le corte gonnelline, il seno che sbocciava sotto la camicetta, tutto prometteva una donna straordinaria. Leandro ne era certo e aspettava pazientemente di diventare grande. Avrebbe vinto finalmente quella maledetta timidezza, avrebbe detto tutto quello che per anni aveva tenuto dentro. Aveva molte parole da regalare e storie da raccontare. Aveva un mondo da donare a Nuccia.

Ma, come sempre accade, i sogni sono solo sogni. Il padre di Leandro fu trasferito ad un altra città, ancora un altra città.


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