I ragazzi delle case INCIS cap 10°


Capitolo 10°  Sacro e profano


Leandro era l'unico bambino che non frequentava l'oratorio. La domenica, dopo la messa, accompagnava il fratello fino al portone poi aspettava fuori anche due ore. A volte si portava qualche giornalino da leggere o un libro, altre volte preferiva gironzolare nei giardini che circondavano le antiche mura della città, oppure andava in centro. Gli piaceva perdersi tra le vie silenziose in quel continuo rincorrersi di case dipinte e portici bui, inseguire i canali, guardare l'acqua, grigia e triste come un inverno, che andava a nascondersi sotto le case. Nelle giornate piovose, nel primo pomeriggio, quando c'era poca gente in giro, si poteva ascoltare la voce dei vecchi mulini. La pioggia sottile e invisibile che feriva il volto senza far male, ticchettava sul metallo corroso di quei giganti addormentati e raccontava le storie di uno perduto splendore a chi sa ascoltare e ai bambini strani. La città era una continua fonte di scoperte per Leandro, altro che oratorio. 

Eppure all'interno dell'oratorio c'erano molte possibilità di divertimento. C'era un campo di calcio, vari tavoli di ping-pong, alcuni calciobalilla. I sacerdoti organizzavano spesso molti giochi: caccia al tesoro, cori di musica sacra e popolare e tutto quello che poteva servire per intrattenere i bambini. Leandro si rifiutava di partecipare. Quando gli chiedevano perchè non sapeva rispondere. L'avrebbe capito in futuro. Allora non aveva spiegazioni da dare. 

Stava bene anche da solo, aveva i suoi pensieri e le sue fantasie a fargli compagnia. All'inizio la mamma si era molto preoccupata per l'insolito comportamento del figlio. Era sempre stato un bambino molto introverso che sorrideva poco o niente, ma sembrava sereno e non dava segno di essere infelice. In realtà il ragazzo, staccato dagli amici, sopportava benissimo la sua solitudine e non conosceva la tristezza. Forse lo toccava un accenno di malinconia. Leggeva molto, soprattutto giornalini a fumetti ma anche libri di narrativa quando riusciva a trovarli nella biblioteca della scuola.

Amava i romanzi di Giulio Verne, dall'incredibile “Ventimila leghe sotto i mari”  a “L'isola misteriosa”  e il divertente “Giro del mondo in ottanta giorni”. Che dire poi di Emilio Salgari con Sandokan e il Corsaro Nero con le loro favolose avventure. Ma leggeva qualsiasi romanzo gli capitasse tra le mani. “L'isola del tesoro”, “Robinson Crusoe”, “Moby Dick”, “Oliver Twist”, “Ivanohe”, “Capitani coraggiosi”, “Le avventure di Tom Sayer” erano i suoi libri preferiti ma aveva trovato interessanti anche altri romanzi come “I ragazzi della via Paal”, “Quo vadis”, “Pinocchio”, “David Copperfield”, “I tre moschettieri” e “Tre uomini in barca”. E molti altri ancora. In compenso trovava “Cuore” una stronzata insopportabile ma forse perchè era il libro più utilizzato a scuola, letto e riletto e commentato dal Signor Maestro che lo utilizzava come vangelo. L'unica difesa dei ragazzi era quella di storpiare i titoli dei racconti ed ecco “La piccola vendetta lombarda”, “La scrivania fiorentina”, “Il tamburino sordo”  e altre amenità simili. I ragazzi non lo sapevano ma avevano scoperto, in piccolo, la parodia. L'oratorio, coi giochi controllati dagli adulti e preti per di più, non valeva certo un buon libro.

Comunque Leandro andava regolarmente in chiesa tutte le domeniche sia perchè andavano tutti gli amici sia perchè obbligato dalla mamma. Che diceva sempre, come don Venanzio, che non partecipare alla messa era peccato tra i più gravi: peccato mortale. Leandro non capiva bene questo concetto malgrado avesse fatto il catechismo come tutti. Sapeva, o pensava di sapere, la differenza tra il bene e il male. Ma perchè era male picchiare il fratello quando gli rompeva le scatole. Perchè era male non andare a messa. Perchè era male non fare i compiti e andarsene in giro con gli amici. Non gli sembravano cose così brutte. Invece no, era peccato e, come ripeteva in continuazione don Venanzio nelle sue prediche domenicali, il Signore vi punirà. Quel prete parlava solo di peccati e relative punizioni, sembrava sempre augurare disgrazie, catastrofi e apocalissi. A Leandro non piaceva quel sacerdote giovane dai capelli rossi come il fuoco e dal linguaggio acceso. Quando doveva confessarsi (ordine tassativo della mamma) restava turbato dalle strane domande che il prete gli rivolgeva.

- Cosa fai la notte a letto prima di dormire ? Ti tocchi? - E poi il tono di voce, c'era qualcosa di morboso in quell'interrogatorio. Perchè voleva curiosare nella sua vita e nei suoi pensieri? Ogni volta, Leandro usciva dal confessionale confuso e di malumore. Smise di confessarsi quando una sera, involontariamente da dietro la porta della cucina, sentì la mamma confidarsi con un amica:

- Don Venanzio fa troppe domande intime.-

- Anche a me. Mi chiede troppi particolari dei rapporti con mio marito.-

- Davvero? E a lui cosa importa? -

- Dice che bisogna praticare la castità-

- Lo vada a dire ai nostri uomini.- Le due donne scoppiarono a ridere. Leandro non aveva molte conoscenze in tema di sesso e non capì il senso delle risate ma capì che stavano parlando di cose proibite ai ragazzi. In ogni caso quel prete rosso che importunava la mamma era veramente antipatico. Così la prima comunione e la cresima, per tutti un momento importante, divennero per Leandro episodi occasionali da cancellare subito dalla memoria. Infatti non lasciarono tracce nella vita del ragazzo. Anche l'orologio della cresima, un finto cronometro tutto acciaio, si era sganciato dal polso la sera stessa della cerimonia e si era perduto per sempre chissà dove.

Era più divertente andare al cinema, altro che oratorio. Non capitava spesso ma ogni tanto partiva la spedizione dei ragazzi verso il centro. La sala cinematografica più vicina era a due chilometri, dietro la parrocchia ed era gestita dalla chiesa. Con cento lire, Leandro vedeva un film (il fratello Giuseppe, sempre appiccicato a lui non pagava il biglietto perchè troppo piccolo) e comprava due ottimi coni di gelato da consumare lentamente a fine spettacolo. Erano pellicole abbastanza vecchie e certo censurate malamente, perchè spesso saltavano da una scena all'altra al punto che talvolta non si riusciva a seguire la storia. Solo i film a tema religioso erano proiettati in versione integrale. Leandro ricordava un film su una certa Maria Goretti, talmente straziante e assurda che i ragazzi erano scoppiati a ridere provocando le ire del sacerdote che controllava la sala. Oltre tutto non si era capito bene perchè era morta.

Andava meglio quando andavano alla sala che si trovava presso la stazione ferroviaria (lontanissima). Il biglietto era più caro ma davano film più recenti e soprattutto i cartoni animati di Walt Disney. Quelle spedizioni richiedevano una lunga organizzazione e costavano ore di consigli e di “State attenti”. La comitiva, bambine comprese, superava spesso le venti unità. I più grandi erano catechizzati dalle madri, un milione di “Mi raccomando questo, mi raccomando quello”. Renato era il capo riconosciuto ma anche Nuccia, Domenica, Giulio Cesare, Leandro e Bove avevano le loro responsabilità.

Una volta occuparono tutta la prima fila di poltrone e vari posti della seconda. Avevano scorte infinite di mentine colorate e bustine di farina di castagne. Le prime venivano masticate e succhiate rumorosamente con gran fastidio degli altri spettatori che protestavano inutilmente. La farina invece, difficilmente finiva nella bocca dei bambini, già di per se era piuttosto volatile per cui, tra scherzi, soffi e controsoffi, piccole nuvole bianche si spargevano nell'aria trasformando tutti in tanti Pierrot allegri. Anche qualche vicino della seconda e terza fila si ritrovò un colorito stranamente pallido e gli abiti impolverati. Finalmente il film attirò l'attenzione e l'interesse dei bambini e nella sala calò il silenzio.

Poi un signore, dalla fila dietro, cominciò a chiamare sottovoce i bambini più piccoli offrendo loro caramelle e dolciumi. Qualcuno si mise a piangere e i ragazzi più grandi si voltarono per vedere cosa stava succedendo. L'uomo si era sbottonato i pantaloni ed estratto il membro, in stato d erezione, si stava accarezzando e invitava i piccoli a toccarlo. Si scatenò l'inferno, le bambine si misero a strillare, i ragazzi più grandi si lanciarono sull'uomo urlando parolacce d'ogni genere e tirando pugni e calci. L'uomo si divincolò e cercò di fuggire. Si accesero le luci. Gli altri spettatori non capirono cosa stava succedendo e l'uomo ne approfittò per infilarsi dietro i pesanti tendaggi dell'uscita. Arrivò il gestore della sala accompagnato da due maschere che, sulla divisa, avevano più bottoni dei corazzieri. Ascoltò pazientemente le spiegazioni confuse e urlate dei ragazzi poi sentenziò, con il compiacimento degli adulti, che si trattava di un gruppo di mocciosi che stava dando solo fastidio. I molestatori si ritrovarono fuori del cinema. La serata era finita.

- Si ritorna a casa.- disse Renato.

- Non dite niente ai nostri genitori.- Aggiunsero gli altri.

- Zitti. Se no non ci mandano più al cinema.- Matteo doveva sempre averel'ultima parola. Qualcuno dei più piccoli ancora piangeva.

- Tranquilli, putei, non è successo niente.-

- Se l'avessi avuto tra le mani.- Brontolò Bove massaggiandosi i pugni. I ragazzi delle case INCIS rientrarono nel loro mondo. Era stata una brutta esperienza che però non avrebbe lasciato alcuna traccia perchè quando erano tutti insieme nessuno avrebbe potuto far loro del male. Per Leandro fu l'ennesima conferma che gli adulti erano diversi, troppo diversi da loro. Parlavano, Dio quanto parlavano, poi facevano sempre il contrario di quel che dicevano. E non ti credevano mai,loro.

- Questi bambini non la raccontano giusta.- Loro ti davano del bugiardo quando dicevi la verità ma nello stesso tempo giustificavano la menzogna. Leandro ci perdeva la testa dietro quei ragionamenti e pensare che aveva tante domande da fare. Allora meglio stare con gli amici e inventarsi ogni giorno una nuova avventura o programmare nuove esperienze.

La visita al convento dei frati cappuccini fu uno di quegli avvenimenti da ricordare e commentare per molto tempo. I loro genitori avevano concordato con i responsabili una giornata speciale. La chiesa si trovava appena fuori le mura, oltre la riva esterna del Sile, poche centinaia di metri da porta Santi Quaranta (- E basta! Come te lo devo dire che i quaranta ladroni di Alì Babà non c'entrano niente.- E allora chi sono i Santi Quaranta ?- Non lo so.- Vedi che ho ragione io.- C'erano momenti in cui Leandro odiava profondamente il fratello.)

Vicino alla chiesa c'era anche la clinica privata dov'era nata la sorellina. Leandro non s'era accorto che la mamma aspettava una bambina anche perchè la mamma era bella ma un pò grassa e nessuno gli aveva detto niente. Così quando tutti di corsa erano andati all'ospedale era stata una sorpresa notevole. Era una bella giornata di marzo, il sole dietro i vetri della finestre era caldo e piacevole. Il fiume sembrava addormentato e le acque ferme riflettevano tutte le sfumature  di verde degli alberi che si affacciavano ad ammirarsi come tanti Narciso. Una giornata ideale per presentarsi alla vita. La bambina era nera nera e bellissima. Leandro si commosse quando la vide in braccio alla madre. La piccola gli aveva mandato un sorriso. L'avrebbe protetta lui, ormai aveva quasi nove anni ed era grande. Il ragazzo era sempre in buona fede quando prendeva degli impegni ma non sempre riusciva a mantenere le promesse. Forse c'erano troppi anni di differenza d'età con la sorella. I due sarebbero cresciuti in società diverse, i tempi sarebbero cambiati troppo in fretta e loro non si sarebbero mai incontrati.

Il padre guardiano guidò il gruppo all'interno del convento. La visita alla chiesa fu tanto veloce che neanche Nembo Kid avrebbe potuto tanto. L'architettura non era la loro passione. Ai ragazzi, in realtà, incuriosiva il giardino di cui si favoleggiava da anni come di un paradiso botanico, un vero Eden. L'orto occupava uno spazio di quasi un ettaro di terreno ed era diviso in settori dove vari tipi di coltivazioni davano all'insieme un fantasmagorico effetto di geometrie colorate. I ragazzi non immaginavano che potessero esistere tante piante. Pomodori rossi e verdi, finocchi cipolle e porri e ancora piselli, fagioli, sedano, prezzemolo, patate, radicchio, verze, cavoli, lattughe ognuna nelle diverse fasi di crescita. Il frate indicava ogni pianta e dava le relative informazioni.

- Cos'è il porro ?-

- E una specie di cipolla.-

- Mio padre ne ha uno in una mano-

- Ragazzi, il padre di Bove ha una cipolla che gli cresce nella mano.- Lucianino coglieva ogni occasione per ferire l'amico-nemico.

- Un porro, cretino. Mi scusi padre.-

- Ci sono anche molti tipi di zucche.-

- Un incontro tra parenti, vero Giacomo ?- Lucianino colpì ancora una volta.

C'erano molti alberi da frutta: mele, pere, pesche, ciliegie e susine. C'erano anche un paio di alberi di carrube e un piccolo vigneto. Qualche pianta era ancora in fiore, alcune avevano i frutti maturi. L'insieme era un enorme tavolozza di colori e forme degna di un pittore impressionista. I ragazzi tempestarono il padre guardiano di domande fino a quando la loro curiosità non fu sazia ma c'era ancora qualcosa da saziare.

La visita era finita ma in un angolo del cortile era stato apparecchiato un grande tavolo dove li aspettavano marmellate di ciliegia, di albicocche e di mirtilli. C'erano anche la cotognata e il miele. Biscotti fatti in casa e grissini, boccali pieni d'aranciata vera e di limonata. Una caraffa panciuta era piena di una bevanda rosso cupa, un succo di frutta varia e nonsochecosa  ma buonissima. Una torta di castagne, una crostata di mele, budini alla crema e un cesto di frutta di stagione. Ad un capo del tavolone un frate gigantesco con un coltello affettava una pagnotta e poi spalmava le fette di burro e zucchero. I ragazzi guardavano incantati e intimiditi quella vetrina di meraviglie poi sul volto barbuto del gigante si aprì un sorriso:

- Putei, all'assalto !-

Le mamme dovettero usare molto sapone di Marsiglia per ripulire gli indumenti dei figli perchè i bambini, si sa, mangiano non solo con la bocca ma con tutto il corpo.

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