Brescia 1962. La contestazione (R)

 di Leo Spanu

Il brano fa parte sempre di "Cartoline e dintorni" ma all'interno di una rubrica "Pagine della memoria (che racconta  momenti particolari). Ho scritto a suo tempo che "Cartoline e dintorni" è una raccolta di  appunti che narrano ricordi, impressioni, riflessioni, note dei miei viaggi, il tutto in modo apparentemente slegato, fatta salva la cronologia.  Era un gioco (gli ultimi appunti risalgono ad una quindicina di anni fa), un modo per fissare sulla carta (e nella memoria) persone e avvenimenti importanti per me, ma lo scrivere mi ha preso la mano e mi è venuta la voglia di diventare uno scrittore. In realtà il sogno della scrittura è sempre stato lì, in qualche angolo della mente, dormiente perchè avevo altro da fare, tipo vivere e sopravvivere e poi una cosa è scrivere una, due pagine magari qualcuna in più per un racconto, altro un romanzo. Invece quando ho cominciato il primo romanzo ( I ragazzi delle case INCIS) le parole della storia mi sono venute da sole. Lo so, qualche "cattivone" potrebbe dire : "Era meglio se ti limitavi alle noterelle per passare il tempo." In realtà non ho mai ricevuto critiche negative per i miei due romanzi ( il terzo, "Il santo e l'assassino" è appena uscito) anzi ho avuto molti apprezzamenti. Però è vero che non ho milioni di lettori. 

Pagine della memoria

 

La contestazione

La prima volta fu una riunione segreta degna dei carbonari. Bisognava dare una lezione al professore di educazione fisica, un fanatico, che ci trattava come materassi da sbattere. Alla fine di ogni ora di lezione (due ore alla settimana) rientravamo in classe come dei profughi che avevano attraversato il deserto del Sahara in una sola tappa. Le nostre compagne ( all'epoca la lezione di  educazione fisica si faceva separatamente; maschi e femmine non potevano stare insieme) ci prendevano in giro e questo rendeva la situazione ancora più umiliante. Alla fine “ l'assemblea” prese una decisione  e una delegazione di studenti si presentò davanti al preside per denunciare il trattamento da lager nazista dell' insegnante. Mai nel corso della storia del nobile e aristocratico liceo scientifico Annibale Calini si era verificato una simile e grave contestazione ad un docente. Il professore fu convocato in presidenza. Nessuno seppe il contenuto del colloquio ma nel piccolo mondo della scuola calò, come una nebbia improvvisa, un clima di terrore. E venne il giorno della resa dei conti. Schierati in palestra come tanti soldati, sull' attenti, col professore che andava avanti e indietro come un sergente inferocito. Cominciò a parlare, a spiegare, a insinuare dubbi sulle nostre menti impaurite. Uno dei punti di contestazione era la serie di esercizi alla spalliera. Noi avevamo sostenuto davanti al preside che l'aguzzino ci teneva appesi per dieci minuti senza staccare mai. Il professore divenne sarcastico:

 - Ma avete idea di cosa sono dieci minuti di spalliera? Voi al massimo ne fate due.-

Noi provammo ad insistere che erano veramente dieci minuti. Qualche ragazzo si arrese e fece un passo indietro. Il duello continuò senza che le due parti mollassero dalla propria posizione. Altri ragazzi si defilarono. Alla fine, dei venti ribelli, restammo solo in tre. Il professore era raggiante, stava vincendo la sua guerra. Ancora un affondo e avrebbe rispedito in classe quegli arroganti e stupidi allievi. Quell'uomo sapeva usare bene le parole, colpivano il bersaglio.

Alla fine rimasi solo a sfidare l' impossibile. La fuga dei miei compagni mi aveva sorpreso. Sentivo dentro di me salire una rabbia che non sapevo di possedere.

- Allora, ti decidi a chiedere scusa ?-

La voce del professore fu lo sparo di un fucile.

- No .-

- Allora adesso tu farai dieci minuti di spalliera così dimostrerai anche ai tuoi compagni l' assurdità delle vostre accuse.-

Mi appesi alla spalliera mentre il professore faceva partire il cronometro. Dopo tre minuti il professore mi chiese se volevo smettere. Le mani, le braccia, le spalle mi facevano male. Rifiutai. Dopo cinque minuti ripetè  l' invito. Stupidamente pensai a come doveva sentirsi Gesù Cristo in croce e lui aveva pure i chiodi. Ai sette minuti ero solo un concentrato di dolore. Cosa mi dava la forza per resistere? Uno smisurato orgoglio, l' indignazione per il tradimento degli amici, il coraggio di un piccolo ragazzo bresciano che ritrovava di colpo le sue radici sarde?

Mai arrendersi!

Il professore aveva cambiato espressione, non sembrava più arrabbiato. La sua voce s' era fatta più dolce. Ora sembrava pregarmi di scendere. Otto minuti. Il tempo non passava mai. Nove minuti. Il professore era preoccupato. Con gli occhi velati vidi i miei compagni, dall' alto del mio calvario mi sembravano piccoli e lontani. Dieci minuti. La voce del professore mi arrivò dall' aldilà. Mi aiutò a scendere. Da solo non ci sarei riuscito, ormai ero diventato una cosa unica col legno della spalliera. Rientrammo in classe. La storia aveva già fatto il giro della scuola. Le nostre compagne ci aspettavano nel corridoio. Ignorarono gli altri che passarono davanti a loro come fossero fantasmi. Io ero staccato, camminavo lento,  trascinando il peso della nostra sconfitta. Le ragazze mi circondarono come angeli protettori. Chi mi massaggiò le mani, chi le spalle. Qualcuna mi accarezzò i capelli e il viso. Nessuno parlò più dell' episodio.

Era il 1962 e il 68 era ancora lontano da venire.


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