Viaggio in Sardegna

di Leo Spanu

Il ristorante era in realtà una piccolissima casa di campagna ripulito e imbiancata. Sullo spiazzo davanti alla porta, su un battuto in cemento, una tettoia di canne, quattro tavoloni lungi e stretti e alcune panche per sedersi. Su un pezzo di tavola inchiodata ad un palo, l'insegna del locale scritta da una mano molto incerta; da Tore.

Il signor Tore, il proprietario, era un pescatore del vicino paese che si era inventato una seconda attività di ristorante insieme alla moglie, la cuoca ufficiale, e proponeva ai pochi clienti, operai dei vicini cantieri che cominciavano a nascere e qualche raro turista di passaggio, una cucina semplice ed economica fatta perlopiù col suo pescato e prodotti locali.

- Andiamo a vedere come si cucina l'aragosta.- Propose i padre. I ragazzi accettarono di buon grado perchè non solo non avevano mai visto "un simile animale" ma avevano idee molto vaghe di cosa fosse un'aragosta. Leandro aveva frugato invano nella sua memoria; nei suoi libri non aveva trovato nessuna citazione. capiva soltanto che era un qualche parente dei gamberi ma molto più grossa.  In effetti era un crostaceo di quasi due chili di peso. Giuseppe quando vide quelle lunghe antenne e tutte quelle zampe in movimento cominciò a preoccuparsi e quando l'aragosta cominciò a muoversi sopra il tavolo della cucina preferì fuggire all'aperto.

Il signor Tore legò il crostaceo con un pezzo di spago, riempì una grossa pentola d'acqua e v'infilò l'animale che non fece nessuna resistenza.  Un bagno fresco è sempre gradito. Poi accese il fuoco in un fornello dove un altro pentolone pieno di sugo di pomodoro stava borbottando in una lenta cottura.

Per un pò non successe niente poi la temperatura dell'acqua cominciò a salire fino al punto in cui l'aragosta decise che era troppo calda. Sciolse i legami e schizzò via dalla pentola come un razzo. La pentola si rovesciò colpendo la consorella con il sugo. L'acqua bollente tinta di rosso si sparse per la cucina colpendo il signor Tore che travasava il vino e la consorte che stava tagliando le verdure. Le urla e le scottature dei malcapitati richiamarono i clienti in attesa e, nella confusione di chi voleva entrare e di chi voleva uscire, l'aragosta che saltava come un molla,  cercò di raggiungere la porta. La sua fuga fu molto breve. Mani enormi con calli a prova di ustioni la bloccarono. Fu legata di nuovo e questa volta con doppia corda e restituita alla pentola e al suo destino.

I ragazzi non avevano mai mangiato carne così buona.

-Possiamo mangiarne sempre?- Chiese Giuseppe che, dopo un enorme piatto di gnocchetti al sugo aveva il volto talmente sporco che un tovagliolo non era bastato a dargli un aspetto decente.

- Non è cibo che si possa mangiare tutti i giorni.- Rispose il padre e fu facile profeta perchè allora l'aragosta costava meno della carne ma in futuro sarebbe diventata un vero lusso.

Leandro stava mangiando un grappolo d'uva bianca. Si sentiva benissimo, in pace col resto del mondo. Lo sguardo si spostò sul tavolo vicino dove un gruppo di sei o sette muratori stava concludendo il pranzo. Uno di loro estrasse da una busta di carta una pezza di formaggio dal colore strano e con una pattadese (il tipico coltello sardo a serramanico) invece di tagliarlo a spicchi, fece un'incisione circolare, poi tolse il tappo. Dal cratere cominciarono a uscire centinaia di piccolissimi vermi bianchi ma non andarono molto lontano. Gli uomini li inseguivano sul tavolo con piccoli pezzi di pane e se li mangiavano insieme alla crema del formaggio.

- Ma stanno mangiando i vermi! E pure vivi.- Giuseppe era al massimo dello stupore. Anche Leandro era disorientato. Gli uomini notarono l'espressione dei bambini. Un operaio in canottiera ma col berretto in testa, talmente abbronzato da sembrare un africano, rivolse loro la parola in sardo. I due fratelli non capirono niente.

- Non vedi che sono continentali. Parla in italiano.- Intervenne un altro.

-Ne volete assaggiare un pò?- La faccia dei ragazzi dovette essere una risposta molto eloquente perchè tutti scoppiarono a ridere.

- Quello è formaggio marcio, una specialità molto prelibata. Offrendola a voi quei signori hanno avuto nei vostri riguardi un gesto di simpatia e di ospitalità.- Disse il padre.

Leandro prese atto della spiegazione e ringraziò, anche a nome del fratello, quei gentili signori ma non era il caso di accettare.

Tratto da I ragazzi delle case INCIS, edizioni EDES Sassari 2012.

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