A Brescia non c'è la nebbia. Cap. 10

Capitolo 10°          Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo

Il film  Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo (1963), un capolavoro della commedia americana, fu presentato in prima visone nel cinema Crocera, in corso Zanardelli e Leo preferì andare da solo a guardarlo per non essere disturbato dagli amici. Quasi tre ore di divertimento puro e quando Leo uscì dalla sala aveva le lacrime agli occhi per le risate e gli faceva pure male la pancia. In quell’occasione capì l’espressione “ pisciarsi dalle risate” perché c’era andato molto vicino. Tornò a rivederlo  il giorno dopo, di domenica, perché si era reso conto di aver perso troppo scene per le continue risate sue e  altrui. A pensarci bene aveva visto più di una persona alzarsi e uscire tenendosi la pancia e non doveva essere stato il solo a necessitare di una seconda visione.

Quell’anno, il 1963, era stato un anno molto strano, pieno di avvenimenti importanti  e anche con momenti poco allegri. Non che Leo fosse molto attento alla cronaca; era il professor Bellini che ogni tanto li richiamava all’ordine facendo notare ai suoi distratti studenti che fuori del piccolo mondo della scuola c’era un mondo più grande e non sempre divertente e piacevole.
Il professore Bellini  insegnava storia e filosofia, era un tipo molto particolare, uno dei pochi insegnanti liberi nel pensiero e nei comportamenti e totalmente insensibile alle pressioni del preside. Secondo la voce popolare il suo trasferimento volontario al liceo classico, qualche anno dopo,  era legato alla mancanza di stima del professore nei riguardi del suo superiore. 
Bellini Uno, c’era anche un fratello detto Bellini Due che insegnava disegno e storia dell’arte, dava del lei a tutti gli studenti e, secondo Simone, anche a se stesso quando si guardava allo specchio. Inoltre non rispettava mai il programma ministeriale, infatti era sempre indietro  di qualche mese e aveva problemi con il tempo, nel senso che  la successione ordinata e regolare delle ore, dei giorni e dei mesi per lui era una stravaganza;  aveva impiegato un anno scolastico per spiegare i presocratici, Socrate, Platone, Aristotele,  contro i due mesi previsti da programma ministeriale  e a fine maggio aveva detto agli studenti:
-Il resto studiatevelo da soli. La storia e la filosofia devono essere capiti, chiunque può imparare un nome o una data a memoria. Ma se avete capito Platone e Aristotele poi potrete capire tutto.-
Piaceva, malgrado tutto, agli studenti che lo rispettavano e in parte lo temevano  ed era l’unico che non guardava le gambe di Ginevra. 
Ginevra era la cavallona della classe, fisico sfacciato  e atteggiamenti spregiudicati, amava provocare insegnanti e studenti con accavallamenti di gambe che mettevano a dura prova il collo, le coronarie e i pensieri di tutti. E’ vero che le ragazze erano obbligate ad indossare in classe lunghi e orripilanti grembiuli neri ma  bastava lasciare sbottonati gli ultimi bottoni e, visto che Ginevra portava sempre minigonne,  più di una volta e più di uno si era ritrovato a meditare sulla lunghezza delle gambe della ragazza. Altro che filosofia.
Il modus operandi del professor Bellini era mitico. Non interrogava per mesi poi, d’improvviso, al
momento degli scrutini, chiedeva  “ un prestito” ai colleghi. Entrava in classe durante le ore di qualsiasi altra materia e portava in corridoio il “condannato” di turno che, non prevedendo di essere interrogato,  non aveva avuto la possibilità di dare neppure un’occhiata ai libri. Il professor Bellini che si aggirava per i corridoi del liceo come Dracula in cerca di sangue da succhiare era il terrore degli studenti. Anche Leo finì nella lista ma con suo grande stupore, l’uomo non era un maledetto vampiro.
-Le chiedo scusa  per averla disturbata. So che lei ha una certa propensione per le mie materie, quindi non avrei bisogno di interrogarla  ma mi serve un voto da mettere nei registro.-  Ma la sua stima non andava mai oltre il sei.
Una mattina arrivò con la faccia  particolarmente cupa e nuvolosa.

Sabato, 23 novembre 1963.
 Il professor Bellini entra in classe, un buongiorno più freddo del solito e si mette davanti alla cattedra invece che dietro:
-Oggi non è un buon giorno. Ieri è accaduto un fatto atroce che inciderà profondamente nella nostra storia. Ieri  è stato ucciso il Presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy.-
Una lunga pausa.
- A voi non interesserà ma parlare di banalità come da programma ministeriale è un’offesa alla vita e alla storia. Faremo un’ora di silenzio.-  
Dopo di che il professore andò a sedersi al suo posto dietro la scrivania. Non aprì neanche il registro per fare l’appello. Si dimenticò anche di fumare, una sigaretta ogni mezz’ora precisa, e rimase fermo  e immobile con lo sguardo fisso nel vuoto.  Gli studenti rimasero  a loro volta fermi e muti per un’ora fino a quando la campanella li liberò da quella tortura. Quell’uomo non doveva essere sano di mente, pensarono tutti, solo molti anni più tardi a Leo capitò di ripensare e di riflettere sul quell’episodio:  una vera lezione di filosofia per chi aveva saputo coglierla e un grande uomo. Ma al  momento anche lui pensò che anche le persone migliori hanno qualche problema e in ogni caso tutti questi fatti a loro non portavano neanche un giorno di ferie in più.

Il 3 giugno era morto papa Giovanni XXIII  ma si fece lezione lo stesso, neanche il giorno del funerale regalò agli studenti una pausa.  Neanche la morte del papa buono portò vantaggi,  un giorno di lutto, scuole chiuse, niente.
Ma il 21 giugno  doveva essere la volta buona perché fu eletto papa il cardinale  Giovan Battista Montini con nome di Paolo VI. Grande festa in tutta la città e provincia perché il nuovo papa era bresciano, invece le scuole rimasero aperte lo stesso. Ma cosa ci voleva, la fine del mondo per usufruire di un giorno straordinario di vacanze? Nemmeno l’apocalisse poteva modificare il corso delle lezioni.

Il giorno 10 ottobre, una parte di montagna s’era staccata dal monte Toc precipitando nel bacino artificiale della diga del Vajont. Una massa enorme d’acqua si era riversata sulla vallata. Longarone e altri paesi vennero spazzati via, oltre 1900 morti. Quella volta gli studenti del Calini e delle altre scuole, volevano solo organizzare una marcia di solidarietà per tutta quella povera gente morta in modo così orribile. Nessuna festa o vacanza, solo un momento di partecipazione e di pietà. Niente da fare,  tutti in classe a studiare.

La storia del mondo segnava in quell’anno molti punti di riferimento importanti ma le conseguenze  di certi avvenimenti si conoscono spesso tardi, qualche volta, troppo tardi. Un negro, allora si chiamavano così, di nome Martin Luther King, aveva detto davanti a migliaia di americani:
-I Have a Dream.-  (Io ho un sogno)
Era il 28 agosto e pochi fecero caso a quel predicatore che aveva un sogno. Quando nel 1968 fu ucciso molti si accorsero che quel suo sogno era diventato anche il loro.

Davvero uno strano anno quel 1963! E pensare che era partito bene;  alla fine della primavera  un costruttore di trattori agricoli, amante delle automobili  di lusso aveva costruito la sua prima macchina sportiva, un pezzo unico: la Lamborghini 350 GTV, “ una bestia” da 280 Km/h.
Era stata esposta nel corso Zanardelli, nella piazzetta di fronte al cinema. C’era stata una processione di gente per vederla che neanche per  la Madonna di Lourdes. Anche Leo si era messo in fila; non era un appassionato di motori ma quella macchina era una meraviglia, un frutto dell’intelligenza umana, anche se doveva costare un’iradidio. Senz’altro più di una Ferrari che in quei tempi si poteva acquistare con  “soli” cinque milioni e mezzo  di lire o poco più.  La Fiat 500  invece  costava attorno alle quattrocentomila lire: lo stipendio di un operaio era attorno alla ottantamila lire e un giornale quotidiano cinquanta lire.

Tra i fatti di minore, anzi di infima importanza, di quel periodo c’era anche l’acquisto da parte del signor Sanna della sua prima automobile: una strepitosa e favolosa NSU Prinz 4. 
La Prinz era una piccola macchina tedesca a 5 posti, scomodissimi e stretti dietro, 600 cm3 di cilindrata, con motore bicilindrico raffreddato ad aria. La macchina, considerata tra le più brutte della storia dell’automobilismo, era in realtà molto più avanzata tecnologicamente delle Fiat 500 e 600 e con prestazioni decisamente migliori.  Costava anche di più e il signor Sanna  si anchilosò la mano firmando cambiali; forse è per questo che il primo giorno, appena uscito dalla concessionaria, la bianca Prinz andò a sbattere contro il muro d’ingresso delle case INCIS.
Fu un giorno di lutto stretto per tutta la famiglia. La gita organizzata e a lungo attesa per una domenica  al lago di Garda sfumò e quella domenica trascorse nel  silenzio più cupo. Oltretutto c’era anche da pagare il carrozziere che s’era preso una settimana di tempo per rimettere la macchina a nuovo. Ma non erano i soldi in più che facevano male al signor Sanna.  
Ci sono “dolori” che tolgono il fiato. Anche Leo, di solito pronto alla battuta feroce, aveva capito lo stato d’animo del padre ed era rimasto zitto incapace di dire una sola parola. 
Quel piccolo uomo aveva molti sogni conservati nel cuore e piano piano li stava realizzando. 
Quanto tempo e quanti sacrifici per un ragazzo che era partito da un piccolo paese della Sardegna, poche scuole, un apprendistato da falegname e la notte di guardia alle piante di tabacco. Poi un gruppo di fascisti aveva dato fuoco alla campagna del padre che aveva dovuto pagare allo stato il prezzo del tabacco. Così Raffaello Sanna aveva lasciato il paese, si era arruolato nell’aereonautica, aveva vissuto alla giornata dentro una guerra che sembrava non finire mai e poi aveva ricominciato tutto daccapo. Aveva conosciuto una ragazza del suo paese molto più giovane di lui, dieci anni di differenza, aveva messo su famiglia ed era salito al nord. Anni di lavoro  e di speranze. 
Quella macchina non era importante in se ma per quello che rappresentava: una rivincita, una vittoria della volontà, un sogno di benessere realizzato dopo tanto tempo. 
Un sogno durato solo mezz’ora, dal concessionario a casa dove la sua famiglia lo aspettava in festa. Pazienza, forse è giusto che i sogni che si realizzano durino poco, come una bolla di sapone. Ce ne saranno sempre nuovi  da inseguire. Così pensava Leo: non sarebbe certamente stato un banale incidente a spezzare la tempra e la volontà del padre.
La realtà purtroppo è diversa dai ragionamenti di un ragazzo. Un mondo pazzo a volte cattivo, spesso crudele è un teatro dove anche le persone forti  talvolta cadono e spesso non riescono più a rialzarsi. 

Quando ci fu il funerale del ragazzo di Letizia, il mondo studentesco si fermò. Letizia era una ragazza del liceo  classico, incontrata qualche volta alle feste; piccola ed estroversa si notava anche perché il suo ragazzo era  uno spilungone silenzioso. Un banale incidente stradale e il ragazzo aveva perso la vita. Muore tanta  gente oggi sulle strade che ci si ferma solo un attimo e poi si riprende come niente fosse ma allora c’era ancora spazio  e tempo per riflettere. La corsa al tutto e subito non era ancora iniziata, un ragazzo sconosciuto che moriva dall’altra parte della città non era solo una notizia come tante. Era uno di loro che se andava troppo presto e senza ragione. Così centinaia, forse migliaia di ragazzi fecero compagnia a Letizia per accompagnare il suo ragazzo nell’ultimo viaggio. 
Leo e compagni fecero una colletta per comprare qualche fiore da regalare a lei come segno di amicizia. Era una bellissima giornata di primavera, come capita ogni tanto a Brescia, il cimitero monumentale era pieno di colori, anche i marmi  e le tombe sembravano meno tristi sotto quel sole che esaltava il profumo dei fiori, dei tanti fiori. I ragazzi parlavano sottovoce, pochi sorrisi, un funerale invita alla preghiera ma c’era una aria di pace,  di serenità in quel cielo troppo azzurro  e senza nuvole, come un piccolo regalo d’addio ad una vita  appena finita.

Francesco era un ragazzo della sezione A, un ragazzo normale come tanti salvo il fatto che non camminava. Una qualche malattia gli aveva tolto l’uso delle gambe fin da bambino. Abitava in un paese abbastanza lontano da Brescia ma  era di famiglia benestante. Ogni mattina l’autista lo caricava dentro la macchina, una Mercedes, e lo accompagnava a scuola. Davanti al portone lo aspettavano i compagni di classe, tre o quattro, tutta gente ben piazzata; non si poteva fermare nessuna automobile perché c’era il divieto di sosta ma molti si improvvisavano vigili e bloccavano il traffico: facevano scendere Francesco  dall’auto poi uno se lo caricava sulle spalle. Ogni giorno. Francesco non usava mai la sedia a rotelle, neanche la scaricavano, non ce n’era bisogno.
I compagni a turno lo portavano sulle spalle, in bagno, durante l’intervallo, dovunque fosse necessario.  Altri ragazzi di altre classi si erano resi disponibili:- Fate un fischio se serve aiuto.-
Ma loro avevano rifiutato, bastavano ed avanzano anche se Francesco era piuttosto pesante e tendeva ad ingrassare. Francesco non parlava molto ma gli piaceva stare con gli amici; sorrideva sempre e aveva un bel sorriso. Poi la malattia si aggravò, fu necessario cercare una soluzione diversa ed un istituto attrezzato così il sogno di Francesco di essere un ragazzo normale svanì dopo un solo anno. 
I suoi amici e compagni non dissero niente; si è vero pesava a portarlo sulle spalle, ma era così dolce il suo sorriso. 


Corso Zanardelli

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