(R) Libri antichi: Le facezie

di Leo Spanu

Poggio Bracciolini

Giovanni Francesco  Poggio Bracciolini (1380-1459), nome umanistico Poggius Fiorentino, nacque  a Terranova (poi ribattezzata Terranova Poggiolini in suo onore). Compì studi giuridici a Bologna e di notariato a Firenze. Nel 1403 assunse a Roma l’incarico di segretario apostolico durante il papato di Bonifacio IX, e mantenne la carica anche con alcuni successori. Viaggiò molto in Germania e in Francia e seguì i lavori del Concilio di Costanza. Perso l’incarico di segretario, nel 1418 si recò al seguito del cardinale di Beaufort. Nel 1423 ritornò a Roma riottenendo il vecchio incarico. Nel 1453 rientrò a Firenze dove si dedicò allo studio della storia della città.
Ricercatore di libri e di codici antichi (aveva una profonda conoscenza del greco e del latino) saccheggiò biblioteche e conventi ma gli va riconosciuto il merito di aver recuperato opere che sarebbero andate perdute. 
Tra le opere salvate: alcune orazioni di Cicerone (Pro Milone), le Institutiones oratoriae di Quintiliano, il De Rerum Natura di Lucrezio, le Silvae di Stazio, le Puniche di Silio Italico e il De architectura di Vitruvio. 
Provvide personalmente, per soldi, a ricopiare quei manoscritti facendo diversi e grossolani errori per la fretta provocando danni irreparabili per gli storici che spesso si sono ritrovati tra le mani copie di scarsa attendibilità e non gli originali di Bracciolini.
Oltre alle ricerche Bracciolini si dedicò anche alla scrittura di opere personali.

La più nota è : Liber facentiarum (Le facezie). Si tratta di una raccolta di brevi racconti (273) di lunghezza da 3 a 30 righe al massimo ognuna, e presentano un mondo di varia umanità con tutti i vizi possibili. Il tono va dal buffonesco al triviale, all’osceno. L’uomo assume sembianze animalesche e il ritratto che ne deriva sconfina nella deformazione grottesca soprattutto quando si tratta di religiosi o di clamorosi esempi di stupidità. La satira colpisce anche i medici presuntuosi, i notai disonesti e gli usurai. Neanche le donne ne escono bene data la misoginia dell’autore. Ma lasciamo la parola a Poggius Fiorentino.

  La facezia di uno sciocco che credeva che sua moglie avesse due cose
Uno d’nostri paesani, assai poco furbo, e inesperto nelle faccende dell’amore, prese moglie. Ora avvenne che una notte nel letto ella volse la schiena e’l resto al marito, il quale tuttavia colpì nel segno; onde meravigliato oltre misura si fè a chiedere alla donna s’ella mai avesse due di quelle cose; ed avendone ella risposto che due n’aveva: “ Oh, oh”, disse l’uomo, “ a me una sola basta l’altra è di troppo.” Allora la donna furba, che era amata dal piovano suo: “Possiamo”, gli disse, “ fare con l’altra elemosina; diamola adunque alla chiesa ed al nostro piovano che ne avrà un gran piacere, e a te non verrà in danno, poiché una ti basta.” L’uomo acconsentì e per amor del piovano e per trarsi di dosso quel peso. E così, chiamatolo a cena, e narratogli il caso, dopo in tre sul letto si coricarono, la donna nel mezzo e dinanzi il marito  e per di dietro il piovano, affinchè si giovasse del dono. Il prete, affamato e avido di quella pietanza tanto desiderata, attaccò pel primo la sua parte di combattimento, e poiché la donna se la godeva e lasciava sfuggir qualche rumore, il marito, temendo che il prete non passasse nel suo campo: “ Bada”, gli disse,” o amico, di stare a patti e serviti della tua parte e lascia stare la mia.” Che Iddio mi aiuti,” rispose il prete,” chè la tua io non tengo in gran conto purchè mi possa godere i beni della chiesa.” Con queste parole si quietò l’uomo sciocco e invitò il piovano a godersi liberamente della parte ch’egli aveva concesso alla chiesa.

L’opera ebbe un  grande successo di pubblico. Infatti prima del 1500 ebbe 23 edizioni, poi altre 60. Nel XVI secolo la fortuna dell’opera svanì e fu dimenticata. In seguito fu studiata solo sotto il profilo filologico perché il latino usato, lungi dall’essere una lingua morta, diventa agile e originale col gusto e la modernità del toscano parlato.

A Bracciolini probabilmente non fu perdonata la sua opera di ricercatore. In realtà  gli capitarono tra le mani opere importanti che ha quasi regolarmente disperso attirandosi così l‘ira di generazioni di studiosi che lo hanno definito una specie di “Attila dei manoscritti”.
Inoltre nel ricopiare i manoscritti non era molto attento e preciso. Ecco così altre generazioni di studiosi a maledirlo per i ”danni” arrecati alla purezza degli originali. 
Uno di questi studiosi, ignoto alla storia ufficiale, si scervellò sulla frase “busillis”. Come tutti sanno (sic!) la frase “ E qui sta il busillis” significa che ci trova davanti ad un quesito impossibile da risolvere. In realtà il nostro pignolo accademico si era trovato davanti ad una frase tipo: in die- (a capo) bus illis. La prima parte fu tradotta ( a orecchio?) “nel giorno” ma cosa cavolo significava quel busillis che completava la frase? Il frate amanuense (perché tale era la professione) scrisse a diversi studiosi dell’epoca ponendo loro l’impossibile domanda. Nessuno rispose e il “busillis” rimane tra i tanti misteri misteriosi della storia dell’uomo. Per la cronaca la frase corretta significa: in quei giorni. (Nessun riferimento a problemi di  intimo femminile).

A proposito di stravaganti traduzioni dal latino ecco alcuni “classici”.
Mutatis mutandis. Letteralmente: cambiate le cose che si devono cambiare, il progenitore latino del motto gattopardesco” cambiare qualcosa per non cambiare niente”. Nel 1930 nel liceo classico di una città italiana, uno studente, all’esame di maturità, tradusse per la prima volta con: Cambiatevi le mutande. Il ragazzo naturalmente, dopo che il professore fu recuperato da sotto la scrivania dove era finito in preda ad un preoccupante attacco d’ilarità, fu bocciato “magno cum gaudio” (con grande gioia) frase con la quale normalmente si annuncia l’elezione di un papa. In questa occasione fu usata in senso opposto a” magna cum laude” (con massima lode).
Inter nos. Letteralmente: tra noi. Ancora uno studente che tradusse “ noi dell’inter” davanti ad un professore milanista. L’insegnante chiamò la studente da parte e sottovoce gli disse: “ Detto tra noi,”inter nos,” lei è bocciato.”
Memento mori. Frase con la quale i frati si salutavano quando s’incontravano: Fratello, ricordati che devi morire. Uno studente tradusse: E’ il momento  di morire. Si, però, magari più tardi, no?
Ave, Caesar, morituri te salutant. Letteralmente: salute Cesare, chi sta per morire ti saluta. Era il saluto che i gladiatori, prima di combattere, rivolgevano all’imperatore. Un altro studente (sempre bocciato) tradusse: I muratori ti salutano. Dovevano essere quelli che hanno costruito il Colosseo.
Carpe diem. Letteralmente: cogli il giorno (in senso figurato: cogli l’attimo). Stanno ancora cercando l’autore di: una carpa al giorno.

BIBLIOGRAFIA
Poggio Bracciolini. Le facezie. Rizzoli. Milano 1983 ( testo latino e traduzione italiana a fronte).

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