La gallina non è un animale intelligente

di Leo Spanu

Pesaro 1950. Io e mio fratello Pier Giuseppe

Così cantavano Cochi e Renato spiegando che “ lo si capisce da come guarda la gente”. Io posso confermare per esperienza diretta che, effettivamente, la gallina non è un animale intelligente.
Correva l'anno 1954 e Treviso era una città tranquilla e sonnolenta; la maggior parte dei dipendenti pubblici era di provenienza meridionale ma ancora non esisteva la lega a seminare razzismo becero, c’era solo qualche isolato imbecille. Le “cortesie” dei funzionari venivano ricambiate con qualche piccolo regalo, in genere prodotti della fertile campagna trevigiana. Un chilo di patate, una busta di pomodori, qualche fondo di radicchio non era considerati "corruzione di pubblico ufficiale" all’epoca, la vita era molto più semplice  e la gente  più onesta. Non solo andavano i prodotti agricoli ma più raramente, anche altro. Una volta regalarono a mio padre una gallina, viva.
Mio padre proclamò solennemente che il compito dell’uomo era quello di procurare da mangiare, quello della donna di cucinare. Una clamorosa scusa per non ammazzare l’animale. Mia madre, che non aveva mai ucciso niente di più grosso di una mosca, entrò in crisi. Fu convocata una riunione  di famiglia: mamma, io ( otto anni) e mio fratello ( sei anni). Mio padre invece fu chiamato d'urgenza in ufficio per una imprevista serie di lavori straordinari. La prima proposta ( mia) fu di mozzare “ lo capo al pennuto” (avevo appena letto qualcosa sul Medioevo e mi piaceva quel linguaggio forbito). Proposta bocciata per due ragioni: la prima era che mia madre non poteva sopportare la vista del sangue specie se spruzzava dal collo di una gallina; la seconda era che mio fratello aveva visto una volta una gallina correre senza testa ( perché io non avevo fatto quell’esperienza?) e il ricordo ogni tanto lo spaventava.  In realtà mio fratello non voleva vedere la morte del cigno  (!) lui voleva vedere " le uova che uscivano dal culo della gallina". Non fu accontentato anzi si prese uno schiaffo da mamma perchè " non si dicono le parolacce".
Fu deciso all’unanimità di tirare il collo all’animale: boia indicato ed eletto (due contro una) mia madre per via della maggior forza fisica. Voi sapete come si tira il collo alla gallina? Mamma non lo sapeva di sicuro: io e mio fratello tenevamo il condannato per le zampe, mamma per il collo ma non successe niente salvo che nello sforzo strappammo qualche piuma e qualche penna al malcapitato.
La gallina si incazzò come una belva e  cercò di beccarci mani e faccia.
Una volta ci avevano regalato delle anguille, sempre vive: erano state appoggiate sul tavolo, in cucina, si erano liberata dalla loro prigione di carta ( ancora non esistevano le buste di plastica) ed erano scivolate sul pavimento. La caccia a quelle cose nere e viscide che sfuggivano tra i mobili ebbe una conseguenza definitiva ( per me). Non ho mai mangiato anguille in vita mia, ho ancora negli occhi quei serpentelli  che sgusciavano dalle mani in cerca della libertà.
Non ricordo di chi fu l’idea ma dopo attento ragionamento, il pollastro fu legato ad un capo di una robusta corda mentre l’altro capo fu collegato alla maniglia della porta del terrazzo. Mamma a tirare con tutta la sua forza ed io e mio fratello dietro a sostenere ( moralmente) nostra madre. Mia madre era giovane e robusta, diede un colpo secco e la maniglia partì di colpo con la gallina dietro. Mamma non cadde a terra solo perché da dietro io e mio fratello riuscimmo a frenare il contraccolpo mentre la gallina ci guardava con occhi da gallina. Non aveva un’espressione molto intelligente  ma anche noi non eravamo in grande  forma. Quando mio padre rientrò dal lavoro trovò una moglie in aperta contestazione circa le regole matrimoniali e due figli che avevano dichiarato guerra senza quartiere alla gallina immortale e studiavano mille ed una maniera per vincere " l'odiato nemico". Quel pomeriggio di un giorno da cani mio padre andò a Paese ( comune a pochi chilometri da Treviso. Non è colpa mia se si chiama Paese), da un amico sardo di origine nuorese che non aveva problemi a fare il “macellaio” e rientrò la sera con l’animale pronto per essere cucinato. Mia madre ci fece il brodo il giorno dopo ma il conto del falegname superò il valore della gallina.


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