Sono nata il ventuno a primavera

di Leo Spanu

Alda Merini


Sono nata il ventuno a primavera.
Non sapevo che nascere folle
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.

Sono  alcuni versi di una poesia di Alda Merini (1931-2009) nata il 21 marzo, il primo giorno di primavera quasi un auspicio di una vita ricca di parole e colori. E invece una strana malattia: la prima volta dieci anni chiusa in ospedali che non danno speranza. Posti orribili dove anche i sani possono perdere la ragione. 

Cantava Roberto Vecchioni in “ Canzone per Alda Merini”:
Noi qui dentro si vive un lungo letargo,
si vive afferrandosi a qualunque sguardo
contandosi i pezzi lasciati là fuori
che sono i i suoi lividi, che sono i miei fiori.

 Io non scrivo più niente, mi legano i polsi,
ora l’unico tempo è nel tempo che colsi
qui dentro il dolore è un ospite usuale,
ma l’amore che manca è l’amore che fa male

Poi sempre guarigioni e malattie e ricoveri per una poetessa che aveva debuttato a soli quindici anni, una vera promessa, e che aveva percorso tutto il suo calvario fino in fondo. Neanche la stima e l’affetto degli amici poteva alleviare tanto dolore. Ancora Vecchioni
Ogni uomo della vita mia
era il verso di una poesia
perduto, straziato,
raccolto, abbracciato.

E’ vero che talvolta i poeti sono pazzi. Sono piccoli e fragili come bambini e spesso hanno paura. Forse vedono e sentono cose che noi persone di pensiero sicuro non abbiamo voglia di ascoltare. Abbiamo altro da fare tipo costruire un mondo nuovo e “ chi rompe” lo nascondiamo dietro un muro: migranti, diversi, donne bambini e poeti. Qualche volta proviamo ad ascoltare anche gli “ultimi”.

Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno  di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti.
Ho bisogno di poesia
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,

che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

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