I mestieri secondo Pinelli

 di Leo Spanu

Dopo tante parole sui mestieri passiamo alle immagini che li rappresentano chiedendo l'aiuto di Bartolomeo Pinelli (Roma 1781- 1836) detto il pittore di Trastevere che, con le sue incisioni, di Roma rappresentò l'anima oltre che le bellezze. Naturalmente presenterò solo una piccola parte delle sue opere dedicate alle professioni dei romani nell'ottocento: mestieri per la maggior parte scomparsi e forse per questa ragione più interessanti da scoprire. Essendo Roma "caput mundi" ma anche la capitale d'Italia, questa galleria parla non solo dei romani ma di tutti gli italiani, prima ancora che esistesse l'Italia.

Acquavitaro (1810). Era un lavoro notturno e quindi l'acquavitaro doveva gridare sottovoce: il suo cestino di vimini era pieno di bottiglie di acquavite e di altri liquori che serviva in piedi ai suoi clienti nottambuli. Vendeva anche ciambelle che teneva infilate su bacchette di legno. Uno dei posti preferiti per la vendita era davanti ai teatri, a fine spettacolo.

Il barbiere. Le botteghe dei barbieri sono sempre state un punto d'incontro dove ascoltare le ultime notizie, i pettegolezzi del quartiere o del paese, le imprecazioni contro il governo sempre ladro. Ma il barbiere era anche altro; faceva il cerusico e applicava le mignatte per i salassi e in alcune botteghe di Roma, castravano  i cantori delle Cappelle Papali. Ma la bottega del barbiere era anche "un centro culturale" dove discutere di qualsiasi argomento nobile o meno.  Un barbiere di rispetto poi sapeva suonare chitarra e mandolino e cantare gli stornelli. Oggi i tempi sono cambiati, i barbieri hanno altri nomi e quando ti chiedono "come li vuole i capelli ?" la risposta migliore è: In silenzio.

Il barrocciaio.  Il barroccio, tipico carro agricolo, era tirato dai buoi.

Il callalaro (1810). I callallari o calderari più rinomati provenivano in genere dalla Ciociaria o dalla Basilicata; erano artigiani specializzati nella lavorazione del rame utilizzato per paioli (callare) e "callarozze" (adatti alla cottura della polenta). In genere  portavano un carretto carico di padelle e tegami che venivano puliti (spurati) con la terra per renderli scintillanti.

Il carnacciaro (1810). Il carnacciaro vendeva, per le strade di Roma, la carne di scarto raccolta dai rimasugli della macellazione (la carnaccia così si chiamava la carne di scarto) a clienti che la compravano per cani e gatti. 

Il cocomeraro  o venditore di cocomeri. (1815). A Roma era un banditore che esponeva la sua merce e, come un tribuno, con battute e spiritosaggini varie attirava la gente per vendere il suo prodotto. A Brescia invece, nei primi anni 60 quando il caldo estivo scioglieva anche l'asfalto, con gli amici si usciva di notte per mangiare una fetta di cocomero (anguria). Il venditore costruiva sulla strada una rozza tavolata e panche con legname da muratore e tu gustavi una fetta di mezzo metro d'anguria fresca. C'era anche la noce di cocco tagliata a pezzetti sotto uno spruzzo d'acqua continua (un tubo d'acqua collegata ad una pubblica fontanella, che allora si trovavano in tutta la citta). L'anguria migliore l'ho mangiata in via XX settembre vicino alla fermata degli autobus (esiste ancora?)

Il friggitore (1809). Uno dei mestieri all'aperto più popolari. Banchetti di fritture di pesce o di ciambelle, focacce, frittelle e bignè erano attive tutto l'anno ma il giorno della massima festa era il 19 marzo, san Giuseppe, quando banche e bancarelle erano adornate con festoni di alloro e ghirlande di fiori. Oggi si parla di "cibo di strada": niente di nuovo sotto il sole

Granarole, donne che scelgono il grano presso l'anfiteatro Flavio (1830). Tipico lavoro femminile  quello di scegliere il grano chicco a chicco, separandolo dalle impurità rimaste dopo la trebbiatura. Allora il grano si trebbiava facendo calpestare le spighe dai buoi o dai somari sull'aia, oppure battendolo col bastone.

 

Il macellaio che conduce il bue al macello (1817). Prima che costruissero i mattatoi gli animali venivano portati nelle fiere dove c'era compravendita. I macellai addetti alla mattanza erano in genere uomini molto robusti capaci di far stramazzare la bestia al primo colpo di mazza, vibrato sul corpo della vittima, tra le corna.

I pifferai (pifferari 1830) presso il teatro di Marcello. A Roma i pifferai vagavano per le strade e per i vicoli fermandosi davanti a tutti gli altarini e a tutte le edicole della Madonna, per fare una novena. Dietro il compenso di pochi soldi (bajocchi) dedicavano queste novene (che duravano appunto nove giorni ciascuna) a chi le richiedeva. I pifferai provenivano quasi sempre dalla Ciociaria e dagli Abruzzi e lavoravano sempre in coppia: uno suonava la zampogna e l'altro il piffero (la bifera).

Lo scoparo (1810). Quasi sempre di origine marchigiana se ne andava in giro col suo carico sulle spalle di scope di saggina e lunghe corone d'agli, confezionate a treccia.

Lo scrivano in piazza Montanaro (1815). Lo scrivano pubblico aveva un certo potere sociale in un popolo di analfabeti: leggeva, a pagamento, le lettere di parenti lontani oppure scriveva con uno stile ampolloso lettere a figli e ad amanti. Era un lavoro che, economicamente, rendeva bene. La maggioranza degli scrivani proveniva dalle Marche e dall'Umbria.

La vendemmia  (1815). Altro tipico lavoro al femminile- Il sorvegliante (caporale), appoggiato all'asino. le guarda mentre lavorano e scherzano tra di loro.

Il venditore di teste di maiali detto tripparolo (1831). Vendeva scarti di lavorazione come trippa, teste di maiali, piedi, andando in giro per Roma con una spianata di legno (lo schifo) sul capo sui erano sistemate le carni. Le teste di maiale venivano utilizzate per fare la coppa. La trippa alla romana era un  piatto povero ma prelibato, una chicca delle trattorie e delle osteria che appendevano fuori del locale il cartello " sabato trippa". Era un lusso mangiare la carne almeno una volta alla settimana.


Erano davvero molti i lavori di un tempo, oggi scomparsi; ce n'erano alcuni davvero strani. Ne citiamo alcuni: lo svejatore notturno aveva l'incarico di andare per tempo e svegliare i viaggiatori alla posta delle diligenze; lo "sticcalegna" andava in giro con la scure sulla spalla in cerca di lavoro; l'appiccia-fuoco approfittando della legge mosaica, che proibiva agli ebrei di accendere il fuoco di sabato, il venerdì girava per il ghetto di Roma offrendo il fuoco al grido di " Chi appiccia?"

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