La notte che "arrestai il generale "(R)

 di Leo Spanu

Ripropongo un articolo pubblicato in questo blog nel 2016. In questi tempi ci sono generali " al contrario" che hanno successo e vendono libri (inutili e volgari) in quantità tale che neanche Alessandro Manzoni se fosse vivo. Ma anche una volta c'erano generali  così.

La notte che “arrestai” il generale 

L’Ospedale militare di Verona non era certo il massimo per viverci 40 giorni da esterno. Ero arrivato in quell’autunno del 1967 per  seguire il corso di aiutante di sanità che mi avrebbe dato il patentino di infermiere (valido anche nella vita civile) e poter così essere autorizzato a bucare sederi giovani e meno giovani . Quelli giovani erano dei miei commilitoni mentre quelli di età superiore appartenevano a parenti e familiari degli ufficiali che potevano avere l’infermiere gratis a casa. 

L’area destinata a noi corsisti e al personale di servizio era ben distinta dalla zona riservata all’ospedale vero e proprio: una caserma  con tutte le sue regole (gavettoni notturni compresi per le reclute) ma con una zona pranzo speciale. Ognuno aveva i suoi  piatti, posate e bicchiere personali che, una volta utilizzati ,venivano regolarmente conservati nel proprio zainetto fino al successivo uso. Prassi necessaria ed obbligatoria perchè solo noi corsisti eravamo completamente sani; il personale di servizio (tutti militari, molti firmaioli) era normalmente affetto da tutte le possibili malattie veneree, naturalmente in forme leggere per cui le terapie non necessitavano il ricovero. Per noi “sani” anche stringere le mani  era un rischio da evitare.  

Il 4 novembre era (è ancora ma non è più festivo) la Festa delle Forze Armate. Dalle 11.00 alle 12.00 fui comandato di guardia all’ingresso dell’ospedale. Era l’ora di visita parenti: centinaia di mamme, babbi , fratelli, sorelle, nonne e fidanzate tutti a trovare i loro “poveri “cari esiliati in quel posto triste. Fare la guardia senza armi è una condanna crudele; devi fare il saluto (a tutti quelli che entrano e che escono) al cappello: Quel giorno c’era più gente davanti all'ospedale che a Città Mercato di Sassari la domenica, specie quando piove.

Ormai il mio braccio destro si muoveva  a ripetizione da solo. Quando smontai dal servizio il braccio continuava a salutare. Dopo un paio d’ore si paralizzò del tutto.

La notte, per fare una cortesia ad un amico mi feci mettere di guardia alla cassaforte dell’ospedale. Questa si trovava in fondo ad un corridoio cieco: una stanza blindata che neanche le cannonate avrebbero potuto demolire. Vicino c’era una porticina che dava l’accesso (ma questo lo seppi dopo) all’abitazione del comandante medico della regione sanitaria militare del Veneto, il generale (ad una stelletta) V. Il qual  generale. oltre ad essere un pezzo grosso di suo,  era pure fratello di un altro generale (questo con cinque stelle come un albergo di lusso) che guarda caso era anche Capo di Stato Maggiore. L’abitazione del generale aveva un accesso esterno, che il proprietario (?) utilizzava nel 99% dei casi; quell’uno era riservato per rompere, ogni tanto,  le scatole a ufficiali e soldatini.

Ero stanco e annoiato e passeggiavo su e giù per quel corridoio troppo illuminato, aspettando il cambio per un turno che non finiva mai quando dall’angolo spuntò un uomo anziano in borghese. Come da consegna fermai lo sconosciuto che diede subito in escandescenze. Non ero armato perché dentro  gli ospedali  le guardie devono essere disarmate  ma mi avevano fornito una baionetta, quasi una spada che doveva essere un residuo della guerra del 15/18, arrugginita dentro la sua custodia perché non sono mai riuscito ad estrarla. Non che mi servisse, non avevo certo bisogno di armi per fermare l’uomo che gridava furibondo: "Tu non sai chi sono io! Io ti rovino!"

Non feci una piega: "Lei di qui non si muove fino a quando non viene l’ufficiale di picchetto a identificarla."

Al CAR  mi avevano spiegato e raccomandato di mantenere sempre la consegna, a qualunque costo se volevo evitare guai. Per cinque lunghissimi minuti dovetti ascoltare le imprecazioni di quell’uomo che non poteva andare da nessuna parte bloccato com’era dal mio ordine perentorio. Quando arrivò di corsa, con la sua bella fascia azzurra, l’ufficiale di turno e vide la scena con un soldato grande e un omino diventato piccolo piccolo, il poverino quasi svenne: “Signor generale mi scusi” e poi rivolto a me” Che cazzo hai fatto!” E poi giù di tutto contro quel soldato stupido e imbranato che aveva osato fermare un generale. Intanto il signore in oggetto aveva ritrovato la sua perduta dignità e a lenti passi e a altezza naturale recuperata rientrò nella sua dimora.

La storia del generale e del soldatino fece il gito dell’Italia militare. Il giorno dopo in tarda mattinata fui convocato dal “tribunale” inventato in fretta e furia dal comandante dell’ospedale per essere processato.

Mai visto tanti ufficiali, a parte  quelli che dovevano essere i miei giudici c’era un coro che neanche in una tragedia greca. La differenza era che qui sembravano tutti di buon’umore. L’interrogatorio fu seguito con molta attenzione, ogni tanto dietro di me sentivo risatine a stento trattenute. Mi resi conto che il generale non doveva essere molto amato.

“E vero che gli hai messo le mani addosso?” Pure bugiardo il generale.

“ No.”

“ Conoscevi il generale?”

“ Mai visto prima”.

Era evidente che il ragazzo era in buona fede e poi non era un montanaro che veniva da qualche vallata perduta. Di buona famiglia, maturità scientifica, studente in medicina. Spiegò qualcuno. “ Un futuro collega” esclamò un altro.

“ Ma dobbiamo dare soddisfazione al generale mica possiamo permettere che un soldatino…” a questo punto qualcuno uscì dall’aula del “ tribunale” per dare finalmente sfogo alla risata troppo a lungo trattenuta.

La giuria si inventò non ricordo quale colpa e fui condannato a  cinque giorni di rigore ma di giorno dovevo continuare a prestare servizio e a studiare mentre  la notte l’avrei passata in cella. Le prigioni dell’ospedale non sono come quelle della caserma dove devi dormire su un tavolaccio di legno inclinato e una sola coperta. All’ospedale veri letti con lenzuola,  coperte e cuscino. Niente muri e porte con finestrella ma pareti a sbarre come nei film americani. La sera quando mi presentai cintura e lacci delle scarpe in mano per trascorrere la mia prima notte da prigioniero c’era un piccolo comitato d’accoglienza: alcuni giovani ufficiali medici con un paio di bottiglie di vino, un vassoietto di paste e qualche pacchetto di sigarette.

“ Sono per te. Auguri e grazie.”

Quando finalmente finii il corso fui trattenuto un giorno in più insieme ad un commilitone. C’era un importante convegno scientifico sul tema dell’arteriosclerosi. Noi due, in quanto studenti in medicina, eravamo stati invitati.“ Mi raccomando “ ci disse il colonnello medico responsabile dell’organizzazione ” niente cappello in testa e niente saluto militare a nessuno. Qui i gradi non contano, siamo tra studiosi e scienziati.” Mangiai bene quel giorno e il convegno fu molto interessante. La sera rientrai in caserma a Merano. 

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