(R) Libri antichi: Giorgio Baffo. Poesie
di Leo Spanu
Di famiglia patrizia, Giorgio Baffo entrò in politica nel
1714 con la nomina nel Maggior Consiglio iniziando una carriera che lo portò
prima a Peschiera (Verona) poi ad Asola (Mantova) per rientrare infine a Venezia nel 1720. L’attività politica
continuò a lungo ma con cariche sempre meno importanti. Nel 1737 si sposò con
una donna più giovane di lui di 17 anni ed ebbe solo una figlia mettendo fine
così al casato dei Baffo. Negli ultimi anni di vita si ammalò di una grave
malattia che non gli impedì, tuttavia, la sua attività di poeta.
Dotato di grande talento “Zorzi” Baffo è probabilmente uno
dei più grandi poeti di quel periodo. Compose circa 1200 poesie in veneziano,
sonetti erotici che lo resero famoso. Scrisse anche testi filosofici e satire
contro la corruzione degli ecclesiastici ma queste opere ebbero un minor
impatto nei lettori. Baffo non mise mai per iscritto i suoi componimenti e
malgrado le pressioni di molti editori inglesi (che poi lo pubblicarono) e
continuò a diffondere le sue opere per via orale (come una medicina contro il
perbenismo) riuscendo a litigare con tutti o quasi. E’ rimasta famosa una
feroce polemica con Carlo Goldoni.
“Zorzi” Baffo ebbe un enorme successo tra i contemporanei ma
anche ferocissime stroncature. Grande verseggiatore e uomo di vasta cultura
tratta temi che spaziano dalla mitologia greca ad argomenti biblici solo che
tutte le composizioni finiscono in gloria ( o in mona per dirla con Baffo). Un monomaniaco della vagina o come disse
un suo contemporaneo un monamaniaco.
Il critico Antonio Bianchi ( chi era
costui?) scrive della sua poesia:
Satira
sozza e laida, che di oscene cose fa spicco puzzolente.
Ma Giacomo Casanova,
amico nonché discepolo e compagno di bagordi invece lo definisce: genio
sublime, poeta nel più lubrico dei generi, ma grande ed unico. Anche in seguito
la sua opera fu stroncata dalla critica anche se molti scrittori lo amano e
Guillaume Apollinaire dice di lui:
questo
celebre sifilitico, soprannominato l’osceno,
lo potremmo considerare il più grande poeta priapeo mai esistito ma, al
contempo, uno dei massimi poeti
lirici.
Nel Novecento l’opera di questo poeta è stata spesso sottovalutata
per la vita spregiudicata dell’autore e per i versi al limite della
pornografia. Un critico benevolo come Guido Almansi si limita a definirlo: un meraviglioso cantore della mona.
A mio modesto parere, “Zorzi” Baffo, poeta di talento nemico
della pagina scritta (forse aveva conosciuto qualche editore, “zente mala”
cioè persone cattive come diciamo noi in Sardegna), nobile per nascita e plebeo
per vocazione rappresenta la parte più viva di Venezia. Ne esprime l’anima
popolare, il cuore pulsante, lo spirito beffardo e sanguigno e bene ha fatto la
sua città a ricordarlo con una lapide nella sua casa in campo San Maurizio.
I
versi sono di Apollinaire: Poeta dell’amore che ha cantato con la massima
libertà e con grandiosità di linguaggio.
Senza “ Zorzi” Baffo non si capirebbe neppure il Carnevale
Veneziano che non è solo costumi e maschere meravigliose. E’ gioco, burla,
scherno; è irridere il potere, è capacità di cogliere e godere le cose belle della vita. Come dice “Zorzi”:
ai omeni e alle donne morbinose,
a quelli veramente che le cose
i varda per il verso bon…
Che de Dio no se parla
né dei re
ma sol di cose belle, allegre e bone,
cose deliciosissime, cioè
de boche, tette, culi, cazzi e mone.
Con questa filosofia non poteva certo diventare gradito alla
gente perbene che, notoriamente, copula
in alcove molto riservate e quando ne parla, lo fa con i guanti bianchi.
Per concludere uno dei sonetti più famosi. Se non lo capite
fatevelo tradurre perché io non ci penso
per niente.
Ode alla mona
Cara mona, che in
mezzo a do colonne/ ti xe là messa, come un capitelo,
per cupola ti ga do
culattone
e’l bus del cul sora l’è il to cielo.
Perché t’adorin tutte
le persone
ti sta coverta sotto un bianco velo
che, se qualcun te l’alza, e
che t’espone
vittima sul to altar casca ogni oselo.
E ‘l sacro bosco ti
me par de Diana
dove un per banda ghe do mustacchioni
che all’arca ne
condusse della mana.
Notte e zorno ti fa
miracoloni
che l’acqua, che trà su la to fontana
da vita al cazzo, e spirito
ai coglioni.
BIBLIOGRAFIA
Giorgio Baffo. Poesie . A cura di Pietro dal Negro.
Mondadori 1991
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