(R) Libri antichi: Giorgio Baffo. Poesie

di Leo Spanu

Giorgio (Zorzi) Alvise  Baffo (Venezia 1694-1768)

Di famiglia patrizia, Giorgio Baffo entrò in politica nel 1714 con la nomina nel Maggior Consiglio iniziando una carriera che lo portò prima a Peschiera (Verona) poi ad Asola (Mantova) per rientrare infine  a Venezia nel 1720. L’attività politica continuò a lungo ma con cariche sempre meno importanti. Nel 1737 si sposò con una donna più giovane di lui di 17 anni ed ebbe solo una figlia mettendo fine così al casato dei Baffo. Negli ultimi anni di vita si ammalò di una grave malattia che non gli impedì, tuttavia, la sua attività di poeta.

Dotato di grande talento “Zorzi” Baffo è probabilmente uno dei più grandi poeti di quel periodo. Compose circa 1200 poesie in veneziano, sonetti erotici che lo resero famoso. Scrisse anche testi filosofici e satire contro la corruzione degli ecclesiastici ma queste opere ebbero un minor impatto nei lettori. Baffo non mise mai per iscritto i suoi componimenti e malgrado le pressioni di molti editori inglesi (che poi lo pubblicarono) e continuò a diffondere le sue opere per via orale (come una medicina contro il perbenismo) riuscendo a litigare con tutti o quasi. E’ rimasta famosa una feroce polemica con Carlo Goldoni.

“Zorzi” Baffo ebbe un enorme successo tra i contemporanei ma anche ferocissime stroncature. Grande verseggiatore e uomo di vasta cultura tratta temi che spaziano dalla mitologia greca ad argomenti biblici solo che tutte le composizioni finiscono in gloria ( o in mona per dirla con Baffo). Un monomaniaco della vagina o come disse un suo contemporaneo un monamaniaco.

Il critico Antonio Bianchi ( chi era costui?) scrive della sua poesia: 
Satira sozza e laida, che di oscene cose fa spicco puzzolente.

Ma Giacomo Casanova, amico nonché discepolo e compagno di bagordi invece lo definisce: genio sublime, poeta nel più lubrico dei generi, ma grande ed unico. Anche in seguito la sua opera fu stroncata dalla critica anche se molti scrittori lo amano e Guillaume Apollinaire dice di lui: 
questo celebre sifilitico, soprannominato l’osceno, lo potremmo considerare il più grande poeta priapeo mai esistito ma, al contempo, uno dei massimi poeti lirici.

Nel Novecento l’opera di questo poeta è stata spesso sottovalutata per la vita spregiudicata dell’autore e per i versi al limite della pornografia. Un critico benevolo come Guido Almansi si limita a definirlo: un meraviglioso cantore della mona.
A mio modesto parere, “Zorzi” Baffo, poeta di talento nemico della pagina scritta (forse aveva conosciuto qualche editore, “zente mala” cioè persone cattive come diciamo noi in Sardegna), nobile per nascita e plebeo per vocazione rappresenta la parte più viva di Venezia. Ne esprime l’anima popolare, il cuore pulsante, lo spirito beffardo e sanguigno e bene ha fatto la sua città a ricordarlo con una lapide nella sua casa in campo San Maurizio. 
I versi sono di Apollinaire: Poeta dell’amore che ha cantato con la massima libertà e con grandiosità di linguaggio.

Senza “ Zorzi” Baffo non si capirebbe neppure il Carnevale Veneziano che non è solo costumi e maschere meravigliose. E’ gioco, burla, scherno; è irridere il potere, è capacità di cogliere e godere  le cose belle della vita. Come dice “Zorzi”:

Mi dedico ste mie composizion, 
ai omeni e alle donne morbinose, 
a quelli veramente che le cose 
i varda per il verso bon…
Che de Dio no se parla 
né dei  re 
ma sol di cose belle, allegre e bone, 
cose deliciosissime, cioè 
de boche, tette, culi, cazzi e mone.

Con questa filosofia non poteva certo diventare gradito alla gente perbene che, notoriamente,  copula in alcove molto riservate e quando ne parla, lo fa con i guanti bianchi.
Per concludere uno dei sonetti più famosi. Se non lo capite fatevelo tradurre perché io non ci penso  per niente.

Ode alla mona

Cara mona, che in mezzo a do colonne/ ti xe là messa, come un capitelo, 
per cupola ti ga do culattone 
e’l bus del cul sora l’è il to cielo.
Perché t’adorin tutte le persone 
ti sta coverta sotto un bianco velo 
che, se qualcun te l’alza, e che t’espone 
vittima sul to altar casca ogni oselo.
E ‘l sacro bosco ti me par de Diana 
dove un per banda ghe do mustacchioni
che all’arca ne condusse della mana.
Notte e zorno ti fa miracoloni 
che l’acqua, che trà su la to fontana 
da vita al cazzo, e spirito ai coglioni.

BIBLIOGRAFIA
Giorgio Baffo. Poesie . A cura di Pietro dal Negro. Mondadori 1991

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