Storie di Sardegna (2018): Avanti popolo...
di Leo Spanu
Il 26 giugno (fra l’altro giorno e mese della mia nascita) del 1983 si svolsero le elezioni per il rinnovo del Parlamento. Il Partito Socialista Italiano (dove io militavo) ottenne un buon risultato e Giovanni Nonne, leader della sinistra (del partito) in Sardegna, fu eletto deputato per la prima volta. Così il neo onorevole decise di festeggiare la sua elezione invitando amici e sostenitori ad uno “spuntino” tra i boschi del monte di Sant’Antonio di Macomer.
Ora, noi in Sardegna, abbiamo l’abitudine di chiamare monti anche le colline, infatti il monte destinato ad accogliere alcune centinaia (?) di invitati è alto 800 metri ma è ricco di posti incantevoli e di un bosco con molte specie di alberi e angoli meravigliosi dove perdere i bambini.
Ora, noi in Sardegna, abbiamo l’abitudine di chiamare monti anche le colline, infatti il monte destinato ad accogliere alcune centinaia (?) di invitati è alto 800 metri ma è ricco di posti incantevoli e di un bosco con molte specie di alberi e angoli meravigliosi dove perdere i bambini.
Ma di questo ne parliamo dopo.
Nel frattempo, in una calda giornata di luglio, quando prendere la superstrada (si fa per dire) 131, più nota come Carlo Felice (sarebbe più giusta Infelice come re e come strada) è come attraversare un deserto infuocato, un gruppo di pastori proveniente da Fonni (paese di nascita di Giovanni Nonne) occupò il monte, liberò un vasto spiazzo, accese un fuoco (eterno) e, intorno, come figure del ballo tondo, sistemarono un numero indefinito di porcetti ed agnelli infilati dentro spiedi di ferro, infilzati per terra, a cucinare.
Saranno state le tre del mattino quando i cuochi si misero al lavoro, perché per questo tipo di cottura al calore (di una fiamma alla giusta distanza) ci vogliono almeno dodici ore.
Io, unico invitato da Sorso (facevo parte di una corrente, allora minoritaria a Sassari, che si riuniva nel ristorante di Mesu e Rios, vicino ad Ozieri ma, scherzosamente, noi dicevamo che sarebbe bastata una cabina telefonica dato che eravamo quattro gatti. 1) caricai la mia macchina con famiglia (moglie e due figli), cibarie e vivande varie per una trasferta di due settimane perché non si sa mai.
In Sardegna, quando si tratta di mangiare gratis, avviene regolarmente una specie di miracolo: la moltiplicazione non del pane e del pesce ma degli invitati. Comunque io mi portati dietro (con tanto di autorizzazione dall’alto) mia cognata Teresa con marito e due figli, Salvatore Delogu, amico e compagno di partito anche lui con famiglia e Giovanni Piras, lo scapolo del gruppo.
Un’ora di viaggio a finestrini aperti per non soffocare e poi, finalmente, gli ultimi chilometri su una strada che si arrampicava in mezzo all’ombra di piante secolari. Alle nove e mezzo il bosco era già pieno di gente proveniente da tutta la Sardegna. Trovammo uno spiazzo libero e ci accampammo sistemando masserie e carrozzelle: avevamo bambini piccoli e qualche neonato. Il più grande era mio figlio Marco, otto anni, che riuscì, non so come, a litigare con un ragazzo (2) molto più grande di lui. Per compensare la differenza di età si buttò nella mischia anche Salvatore, quasi quattro anni, figlio di Teresa.
Il ragazzotto sospese la “rissa” quando cominciò a sentire pugni e calci dalle ginocchia in giù: abbassando lo sguardo vide che c’era un affarino che picchiava con la grinta di Cassius Clay.
Il ragazzo si mise a ridere e tutto finì in allegria. Nord Sardegna batte Sud Sardegna due (piccoli) a uno (grande).
Paola, mia figlia, cinque anni da compiere, si perse nella tarda mattinata. Tra alberi e cespugli ovunque, qualche migliaio di persone (molti portoghesi e troppi bambini) ci volle mezz’ora prima di ritrovare la bimba tranquillamente in braccio ad un signore con moglie a fianco che giocavano felici e contenti.
- Vi stavamo cercando- mi disse la signora- ma se non vi avessimo trovato ce la saremmo tenuta. Questa bimba è un amore. Siete sicuri di essere i genitori ?”-
Mia moglie non rispose ma aveva la stessa espressione di Giove Pluvio quando sta per scagliare fulmini e saette.
La mattinata trascorse veloce tra qualche chiacchierata interrotta dai bambini che rompevano, tentativi (a turno) di passeggiata nei dintorni, saluti a noti e ignoti (-E quello chi era? Ed io che ne so saluta e sorridi.-) e finalmente venne l’ora del “compagni avanti che si mangia”.
L’assalto fu degno dei visigoti quando conquistarono Roma. Non ci fu neppure bisogno di uno squillo di tromba: tutti gli affamati del terzo mondo si lanciarono su pentoloni pieni di gnocchetti alla campidanese. Qualcuno probabilmente ci finì pure dentro perché poi si videro molte persone vestite con abiti diversi ma di un unico colore rosso sugo di pomodoro.
Mario, il marito di Teresa si autonominò vivandiere e dopo, uno scontro che neanche nel Partito Democratico, rientrò alla base con alcuni piatti di plastica pieni di gnocchi e un dolore allo stinco per un calcio da ignoto concorrente.
Per fortuna noi sorsensi siamo molto previdenti: latte, pavesini, succhi e pappette varie per i piccoli e per noi pane, formaggi vari, melanzane in forno (preparate dal giorno prima), carne e tonno in scatola, salsiccia, salame, prosciutto acqua e vino e birra e pure frutta mista e uva di Sorso, e poi dolci di Sorso (amaretti, cozzuri, casgiaddini e pabassini- 3) e un ciambellone gigante (mia moglie è una specialista in materia).
Nel bel mezzo del nostro pranzo si presentò un signore dalla faccia disperata con un bambino piangente in braccio. Era anche sporco (il bambino) come se si fosse rotolato a lungo sull’erba.
-Ho perso lo zainetto con la roba da mangiare per il bambino ed ora lui ha fame e non so cosa fare. Potete darmi un pezzo di pane?-
-Aggiungi un posto a tavola, anzi due.- Proposta accolta all’unanimità e i due ospiti si sedettero con noi, nuovi amici.
Finalmente la carne giunse al punto giusto di cottura. Sempre Mario, strisciando per terra come un indiano, insinuandosi tra le gambe degli assaltatori di porcetti e a agnelli riuscì a recuperare due bei pezzoni di carne profumata.
-Bravo! – Gli gridammo in coro- Una vera azione militare.-
Mario sorrise compiaciuto non per niente è un ex ufficiale dei paracadutisti.
La carne era veramente cotta bene, una leccornia, provare per credere! (Ma non era uno slogan per mobili?). Teresa decise di chiedere un'altra porzione e gli assedianti accampati attorno al muro (di porcetti e agnelli) la lasciarono passare. Saranno stati i capelli biondi e l’aria svampita della ragazza ma i pastori sardi sono sempre stati sensibili al fascino femminile.
Teresa si ritrovò con un bel piatto pieno di carne fumante. Il problema è che Teresa non ci vede benissimo e allora, per civetteria, si era pure tolta gli occhiali. Così si perse. Vagava come un ninfa tra gli alberi e noi da lontano a chiamarla per indicarle la strada. Altre voci si alzarono dagli affamati invitati.
-Teresa siamo qui!.-
- No, Teresa, siamo qui!- Ognuno provava ad attirare l’attenzione della ragazza, decine di voci come le sirene di Ulisse. Non per lei ma per mangiarle la carne. Finalmente riuscimmo a trovarla e a strapparla agli agguati di feroci cannibali mangiatori di loto. Beh, facciamo di maiale.
Poi verso le sedici arrivò un camion pieno di gelati. Finalmente c’era stata una pausa, un momento di tranquillità, a parte qualcuno che a causa del vino abbondante scopriva inusitate qualità canore: invece di canti alla sarda sembravano tuoni di un temporale lontano, dei Bom, Bim, Bam Bò! preoccupanti.
Come si fa a negare un gelato ai pupi? Tutti i padri di famiglia lottarono con onore per riportare ai figli, un cornetto, uno zatterone, un cremino. Furono dolori e stridor di denti ma alla fine ognuno di noi tornò, da cotanta battaglia, vincitore e con un ricco bottino e pazienza se qualche gelato finì su pantaloni e maglietta.
Noi fummo tra i primi ad andarcene, verso le 18, 00. La festa sarebbe continuata ancora con altro vino e canti e danze del folclore sardo, ma i nostri bambini stavano crollando dalla stanchezza: avevano giocato e si erano scatenati per tutto il giorno ed ora, sporchi che sembravano usciti da una miniera, ciondolavano tra le braccia dei loro ancor più stanchi genitori. La festa era stata bella ma era ora di rientrare a casa. Si, era stata davvero bella ma che faticaccia. Da non ripetere.
Infatti alle elezioni successive Giovanni Nonne decise di invitare gli amici ad un ristorante nella campagna di Alghero.
NOTE
1) Il gruppo da cabina telefonica era formato da compagni molti dei quali hanno fatto una bella carriera politica: Paolo Cuccuru (Segretario di Federazione a Sassari), Giacomo Spissu (sindaco di Sassari, Presidente del Consiglio regionale della Sardegna, attualmente Presidente della Fondazione Banco di Sardegna), Franco Borghetto (sindaco di Sassari), Pasqualino Porqueddu (consigliere comunale ad Alghero), lo scrivente (assessore comunale a Sorso) e altri occasionalmente e a piacere. Ci raggiungevano da Cagliari a, turno, Giovanni Nonne (presidente della provincia di Nuoro, deputato, più volte sottosegretario di stato alla Marina mercatile e al Tesoro) e Antonello Cabras (Presidente della regione Sardegna, Senatore, sottosegretario Commercio Estero, Presidente Fondazione Banco di Sardegna). Se qualcuno si chiede come mai io non ho fatto carriera la risposta è semplice: ho scelto di fare politica solo a livello locale perchè ho dato la priorità alla mia famiglia).
2) Il ragazzo si chiamava (si chiama) Mauro Pili, figlio di Domenico amico e compagno di partito. Da grande è diventato sindaco di Carbonia, Presidente della regione Sardegna con Forza Italia e poi deputato. Anche il padre è stato consigliere e assessore regionale per il PSI.
3) Cozzuri (di sabba). Chiamati anche tiricche sono un tipico dolce pasquale formato da una sfoglia croccante e da un ripieno (pisthiddu) di mosto cotto con bucce d'arancia e mele cotogne (sabba). Possono essere ricoperti con la cappa (il bianco dell'uovo montato con lo zucchero) e poi decorati da "diavolini" colorati.
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