Si viaggiare: Treviso, Padova

 di Leo Spanu

Febbraio 2004

Ho comprato un bel libro," Treviso ritrovata" di Toni Basso e Andrea Casson. Evidentemente non sono il solo a pensare di averla perduta ma, mentre loro pensano di averla ritrovata non so dove, io l'ho perduta per sempre.

Non sono andato a Treviso per un pellegrinaggio in memoria di un'infanzia troppo lontana, volevo cercare alcune atmosfere, fissare particolari confusi,  volevo "rifinire" il mio primo romanzo, ambientato proprio a Treviso. Volevo trovare dei colori ma non quelli di Benetton che ha costruito una mostruosità di marmo bianco alla distanza di un sospiro da piazza dei Signori. Che dire dell'antico loggiato, sbarrato da enormi vetrate in alluminio dove oggi c'è un bar lussuoso dove i ricchi signorotti discutono dei loro affari. Il centro storico è stato rifatto, in qualche caso i restauri sono gradevoli ma l'insieme è deprimente. Troppa ricchezza, troppo ordine, troppo pulito. Troppo tutto. Treviso è una città triste dietro il benessere che esce dalle sue vetrine, dai negozi sempre illuminati, dalle signore in pelliccia e dalla pioggia che cade sottile e fastidiosa.

Treviso è una città che perso l'anima. I bambini vestiti in maschera per il Carnevale sono troppo seri e educati. Treviso è una città razzista. Te ne accorgi dal numero degli extracomunitari che la sera passeggiano vicino alla stazione ferroviaria e arrivano al massimo fino a piazza Borsa. La Calmaggiore è riservata ai trevigiani e ai turisti italiani (come noi).

Un nord africano, una sera, ci incrocia davanti alla chiesa di san Francesco. Siamo solo io e mia moglie in quel momento e, nell'ombra e nel silenzio,  la sua voce come un sibilo feroce: " A fanculo tutti gli italiani."

Treviso è come un amore finito male. Un rimpianto.

                                                                                Treviso










Padova
Basilica di sant'Antonio



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