Donne (1967) R
di Leo Spanu
Pagine
della memoria
Donne
C' è stato un tempo che ho smesso di pensare. Il mondo fasullo che conoscevo mi era sfuggito dalle mani, presto sarebbe saltato in aria ma io non lo sapevo. Vivevo i miei giorni indifferente a tutto, avevo lasciato gli amici e loro mi avevano lasciato andare. Mi ero chiuso in un silenzio apatico che non si apriva a niente e a nessuno, anche i miei genitori erano solo una presenza fastidiosa.
Per
guadagnarmi qualche soldo facevo il piazzista porta a porta nei paesi dell' hinterland di
Brescia. Ho venduto di tutto: enciclopedie che non valevano la carta, deodoranti,
detersivi, camicie, persino calze da donna e collants. Il mio aspetto da bravo
ragazzo piaceva alle potenziali clienti: contadine, operaie, lavoratrici in
nero all' interno di case che si rivelavano essere fabbriche tessili e altro.
Bellino, pulitino, educato, ben vestito con giacca e cravatta, facevo tenerezza
e poi parlavo così bene l' italiano fra tanta gente che mischiava dialetto e
italiano. Tra l' odore acre delle stalle e il profumo penetrante della terra
umida, giravo per la campagna bresciana col mio carico di spazzatura da
vendere.
Ho conosciuto molte ragazze in quel periodo, mai avuto tanto successo. Ragazze del popolo che non avevano molte occasioni di incontrare degli studenti universitari; le classi sociali non esistevano ma di fatto ognuno frequentava il proprio ambiente e la gente bene non si mischiava con la classe operaia. Io provenivo dall’ elite di Brescia: avevo respirato troppo a lungo l' aria della ricca borghesia cittadina. Un' anomalia per le mie origini, visto che mio padre era un modesto dipendente dello stato. Una stravaganza in quel mondo di persone che a malapena avevano fatto le scuole medie e che lavoravano duro per costruirsi un avvenire.
E poi, quell' aria di
mistero, era così affascinante. Ma io ero troppo preso dal rancore che mi
divorava la mente, odiavo il mondo intero e soprattutto odiavo me stesso.
So di essermi comportato da vero stronzo; quando mi rendevo conto che per quelle ragazze io stavo diventando importante, allora fuggivo. Non volevo legami, quelle donne erano solo un' appendice della mia vanità e della mia solitudine . Non capivo il male che stavo facendo.
Maria Rosa aveva
grandi occhi neri e il profumo delle arance della sua terra, la Sicilia. Quando
ero depresso mi accarezzava con tenerezza, come un bambino che ha bisogno di
coccole. Poi un giorno mi aspettò invano.
Laura era bresciana anche se dall' aspetto l' avresti presa per una figlia dell' Africa. Una bella ragazza mora con una gran massa di capelli ricci, una simpatia e una vivacità che avrebbe sciolto i ghiacciai. Mi stava sempre addosso come una trottola impazzita, mi spiazzava con la sua allegria, con la sua voglia di vivere, con il suo amore così giovane. Ma io riuscivo a distruggere tutto. Una sera la vidi piangere in silenzio. Poi anche lei uscì dalla mia vita e altre ancora, ragazze alle quali non ho saputo dare niente.
Ho un lungo conto da
pagare alle donne. E non posso neppure chiedere scusa.
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