Brescia (1970). Un uomo vero
di Leo Spanu
Pagine della memoria
Un
uomo vero
Quando i miei
genitori, nel 1970, decisero di rientrare definitivamente in Sardegna io e mio
fratello scegliemmo di restare a Brescia. Lui lavorava come rappresentante con
alterne fortune mentre io cercavo di studiare senza molta convinzione. Trovammo
una stanza ammobiliata nella zona di
corso Garibaldi, in una viuzza interna dove il sole si dimenticava di entrare,
il massimo per le nostre magre finanze. Il proprietario, Ernesto, un omone
grande e grosso di una quarantina d'anni aveva la fedina penale lunga quanto
via Milano. Mi prese subito a benvolere come a un fratello minore.
Con mio fratello invece neanche parlava. Non lo stimava e non volle mai spiegarmene le ragioni. Trovavo
il fatto incomprensibile anche perchè mio fratello è sempre stato un tipo
allegro e simpatico, spontaneo nei
rapporti umani, diverso da me che ho sempre avuto un carattere introverso e difficoltà
a legare con gli altri. Ma il nostro padrone di casa evidentemente aveva un altro
metro di giudizio nel pesare le persone. All'epoca faceva il contrabbandiere
di sigarette oltre ad altre attività più o meno legali ma aveva smesso di fare
il giocatore d'azzardo professionista. S'era sposato e aveva una bambina che frequentava la prima media. La moglie era
una signora gentile, dalle forme appena
abbondanti. Aveva praticato la professione di prostituta e questo fatto mi
lasciava molto perplesso perchè se mai esiste una figura di moglie e madre
perfetta quella era lei. Il suo sguardo era innocente come quello della sua
bambina. Io facevo ripetizioni di italiano, latino e matematica.
Ernesto adorava la
figlia e i suoi ottimi risultati scolastici (grazie anche al mio piccolo aiuto
gratuito) lo rendevano orgoglioso lui che non aveva finito le scuole
medie. Così ogni tanto mi regalava
qualche pacchetto di sigarette. A volte mi invitava a cena insieme a mio
fratello. Noi occupavamo una mansarda al terzo piano della palazzina: una
stanza grande con il bagno. Ernesto e famiglia e anche la madre occupavano il
resto della casa. La madre di Ernesto era una cuoca da favola. Ricordo le sue
passate di verdure e le creme di patate o di fagioli come delle prelibatezze.
Un fatto eccezionale per uno che non ama le verdure ma forse era la fame. In
quel periodo mi è capitato più di una
volta di tirare avanti la giornata con un paio di cappuccini. Un giorno Ernesto
mi chiese una cortesia.
“ Mi trovo in una situazione difficile e sei
l'unica persona di cui mi posso fidare.”
Mi spiegò cosa dovevo
fare e in un primo momento mi spaventai poi il senso dell'avventura prese il
sopravvento sui miei timori.
“ Non farei niente che possa danneggiarti. Te
lo giuro su mia figlia.”
Così il giorno dopo,
alle otto di mattina presi la cinquecento della moglie di Ernesto (lui era già
uscito da qualche ora) e lentamente mi
avviai verso un paese ad una trentina di
chilometri da Brescia. Parcheggiai di fronte al bar in una stazione di servizio
alla periferia, entrai e comprai un giornale che sfogliai seduto ad un tavolino
sorseggiando un caffè.
Rimasi mezz'ora nel
bar poi ripresi la macchina e, sempre lentamente, rientrai a Brescia.
Avevo capito di aver
fatto da esca ( la polizia conosceva benissimo la cinquecento) ma quando chiesi
ulteriori informazioni ad Ernesto, lui si limitò a sorridere e dire: “ Grazie.”
Un'altra volta (
dietro mia richiesta in verità perchè sono sempre stato molto curioso) mi portò
ad assistere ad una partita di scala quaranta con grosse puntate.
“Ho smesso da tempo
con questa attività ma faccio un'eccezione per te così vedrai quali ambienti
frequentavo, E' tutta gentaglia e non valgono un cazzo. Stanne sempre alla larga.”
Iniziò la partita a
carte ed io mi misi alle spalle di Ernesto ( “io barerò e tu cerca di capire
come faccio.”). Dopo venti minuti Ernesto stava perdendo una cifra enorme. Il
gioco della scala quaranta col meccanismo dei continui rientri quando si sfora,
porta a raddoppiare la posta in continuazione. Gli avversari di Ernesto erano
gongolanti, lui sembrava un agnello pronto al sacrificio. L'ultimo giro di
carte ed Ernesto vince e si porta via un bel pò di quattrini lasciando gli
avversari confusi e increduli.
“Te l'ho detto. Gente da poco. Polli che si credono aquile.
Hai capito come ho barato?”
“ No, spiegamelo.”
“ Non ci penso
proprio. Tu sei un ragazzo pulito. Per favore rimani così.”
Quando anch'io decisi
di trasferirmi in Sardegna, Ernesto mi accompagnò alla stazione dei pullman.
“ Questo è un regalo
per te.” e mi consegnò una stecca di sigarette. Poi mi mise in mano anche dei biglietti da mille
lire.
“ Non posso
accettarli.” Dissi.
“ E' solo un prestito.
Magari un giorno me li restituirai.” Poi aggiunse:
“Qualunque cosa farai
nella vita sono sicuro che ce la farai. Sei uno che vale.”
Mi abbracciò con forza
per nascondere la commozione. Quell'uomo grande e grosso che secondo la
questura era un delinquente abituale mi ha insegnato cose che non ho trovato
nei tanti libri che ho letto.
Nel corso della mia
vita ho conosciuto molte persone di ogni genere. Pochi uomini veri. Come
Ernesto.
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