Il buffone e il folle
di Leo Spanu
Da " A Brescia non c'è la nebbia" Edizioni EDES Sassari 2018
Quando Leo smise la sua attività di rallegratore di animi altrui non pianse nessuno. Del resto le sue ultime esibizioni erano state mediocri. Non poteva essere cercato dagli altri solo per la sua bravura nel far ridere, quando "l'attore" smetteva di recitare Leo ritornava ad essere il ragazzo problematico pieno di dubbi e di domande senza risposta.
Quel male oscuro che si portava dietro fin da bambino lo ributtava nella solitudine, in quel suo mondo cupo e silenzioso fatto di rancore e rabbia. La grande confusione che aveva nella mente e nel cuore non si conciliava con l'umorismo e peggio ancora con la risata. Gli restava solo l'ironia amara che spesso si trasformava in feroce sarcasmo e, con queste doti, non si fa ridere nessuno.
Non è facile avere diciotto anni, o giù di lì, specie quando non ti aiuta nessuno e le tue paure crescono fino a sembrare gigantesche. Il futuro sembra una montagna impossibile da superare, la famiglia, il padre e la madre, le persone più care diventano quasi un peso; si prova addirittura ostilità verso quelli che ti vogliono bene. Ti senti solo, disperatamente solo, in cerca di un'identità, di un ruolo che non sai trovare in una società distratta, nel migliore dei casi. I giovani diventano argomento di discussione per politici incompetenti e sindacalisti falliti, la scuola assiste impotente alla continua perdita di credibilità come istituzione e maestra di vita. Solo il mercato se li coccola per vendere loro false illusioni e sogni drogati.
Il mondo non è mi stato costruito per i giovani anzi, spesso, dietro l'ipocrisia di facciata, è decisamente contro. Forse è per questo che molti ragazzi non vedono l'ora di diventare grandi magari credendo di risolvere i loro problemi e finiscono col prendere scorciatoie che finiranno per segnare negativamente il resto della loro esistenza.
Dietro un umorista c'è sempre un uomo triste, aveva letto Leo da qualche parte. Certo che se andava avanti così rischiava di diventare un grande umorista. Naturalmente niente di questo appariva nel volto o nelle parole di Leo. Bene o male si finisce col crescere da soli essendo insieme maestro e allievo. Qualcuno sopravvive alla guerra dell'adolescenza coi suoi effetti collaterali. Per gli adulti si tratta quasi sempre di tempeste ormonali che svaniscono quando spariscono i foruncoli dal viso. A Leo i foruncoli sparirono quando cominciarono a spuntare i primi peli di barba ma non i cattivi pensieri.
La sua crescita era una digestione lenta e difficile e non c'era bicarbonato che potesse diminuire i mal di pancia. Tutto gli sembrava difficile, ogni conquista in qualsiasi campo, avveniva a costo di grandi fatiche ma le sconfitte sembravano più importanti delle vittorie. C'è gente che cade sempre in piedi, qualunque cosa faccia va tutto bene spesso senza alcun merito poi ci sono i perdenti, i falliti, i vinti. E non c'è niente di peggio di un ragazzo che si sente vinto anche se non è vero......
Quando Leo si dimise dal ruolo di buffone di corte, l'unico a mettersi il lutto fu Maurizio per il quale la "tristezza" era una faccia con un occhio aperto e uno chiuso come un pirata cieco e ubriaco. Lui era l'uomo degli estremi, anzi delle estremità come sosteneva Simone: braccia e gambe troppo lunghe e cervello troppo corto. Sembrava un ragno e, come è noto, i ragni non hanno bisogno di pensare. Comunque l'epitaffio di Maurizio fu:
-Adesso sono rimasto l'ultimo dei folli.-
-Non ti preoccupare, rimani sempre il primo dei cretini. Simone era sempre preciso e deciso nei suoi giudizi.
In effetti la comicità di Maurizio era basata più sui gesti che sulle parole, lui era un mimo, un Pierrot di casa nostra, un sognatore surreale che faceva le boccacce alla luna. Lui non pisciava mai nei vespasiani come tutti gli altri ma saltellava da un'aiuola all'altra dei giardini pubblici, una spruzzatina per fiore, un'ape che concimava la primavera. Lui non fumava come tutti gli altri anzi non gli piaceva neppure fumare, infatti non aspirava; lui costruiva colonne di cenere tenendo la sigaretta puntata dritta verso l'alto e tirando la boccata da sotto. Quando la sigaretta si spegneva perchè ormai era arrivata al filtro, delicatamente appoggiava la stessa su un piano, avvisando gli altri di stare lontano, di non muoversi, di non fiatare. Poi accendeva un'altra sigaretta, dava solo la prima boccata e aspettava che si consumasse.
Una volta consumò un pacchetto intero per costruire un semicerchio infine commentò soddisfatto:
-Neanche il Bernini è arrivato a tanto col colonnato di piazza san Pietro. Poi gonfiò i polmoni con tutta l'aria possibile e con un soffio potente demolì il suo capolavoro.
-La vita è un lampo ma prenderla in culo è un baleno!-
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