(R) Libri antichi: La rethorica delle puttane
di Leo Spanu
Si hanno poche notizie di Ferrante Pallavicino ( o
Pallavicini); di lui si sa solo che, nato a Parma nel 1416, era di nobile
famiglia ed è stato canonico di sant’Agostino. Fuggì da Roma a causa dei suoi
scritti polemici contro la chiesa. Uno fra i tanti era intitolato Alcibiade
fanciullo a scuola e trattava della
pederastia (oggi pedofilia) del clero romano e invitava i genitori a non
affidare i ragazzi alle cure dei gesuiti. Il libro era stato pubblicato in
forma anonima ma fu subito attribuito al Pallavicino che inutilmente cercò di
smentirne la paternità. La sua (cattiva)
reputazione era tale che lo scrittore era entrato in rotta di collisione anche con la
famiglia dei Barberini, nobile famiglia romana molto vendicativa. Di loro si
diceva: quello che non hanno fatto i barbari hanno fatto i Barberini. E non
era certo un complimento. Pallavicino,
che amava definirsi “flagello dei
Barberini” per le sue satire
contro la potente famiglia, cercò rifugio in Francia ma fu arrestato ad
Avignone per ordine del papa e riportato a Roma dove, dopo un anno di
prigionia, fu decapitato il 4 marzo 1644 ( non aveva ancora trent’anni). La sua
condanna fu per lesa maestà e apostasia (1) a causa di un libro ( Divorzio
celeste) di cui probabilmente non era neppure l’autore.
La retorica delle puttane è un libello pubblicato anonimo
a Venezia nel 1642 ed è un trattato di
iniziazione di una giovane donna al mestiere di prostituta da parte di una
vecchia mezzana. La struttura narrativa è costruita come una parodia del De
arte rethorica del gesuita spagnolo Cipriano Suarez, testo pedagogica
fondamentale in uso presso tutti i collegi della Compagnia di Gesù.
Il libro
oggi risulta alquanto noioso ma l’incipit di gusto romanzesco e merita di essere letto.
Viveva in città ragguardevole una bellissima giovane, obbligata dalla
povertà dei genitori a prolungato isolamento e comunque le veniva impedito di
uscire di casa dalla scarsezza delle vesti e di altri ornamenti opportuni alla
sua condizione. Aveva il padre di lei più di nobiltà che di ricchezze, e, in
riscontro di una numerosa prole, godeva pochissime rendite. Ciascuno di quella
famiglia era avezzo a sbadigliare più per fame che per sonno, e bene era farsi
sovente il segno della croce, affinchè non entrasse nel loro corpo il diavolo,
come in una casa abitualmente vuota. Le rivoluzioni accennate dai filosofi in
occasione di vacuo, contro di cui si sconvolgerebbe la natura con la inversione
del tutto, era provata frequentemente da quei miserabili, che nel ventre vuoto
sentivano gli effetti di tale stravagante bisbiglio e di straordinaria
confusione. I maschi studiavano con diversi modi di rimediare
all’inconveniente; ma la nominata fanciulla, che era unica in ragione di prole
femminile, per lo più non aveva con che nutrirsi, molto meno con che
abbigliarsi. Desiderava di saziare l’appetito meglio che di piacere agli
uomini, né si curava di comparire lasciva e bizzarra, mentre era quasi sempre
affamata. A questi patimenti si aggiungeva la mortificazione dello stare
continuamente racchiusa, privata di quei passatempi che nel vagare qua o là, o in dilettevoli
conversazioni, le donzelle ancora possono onestamente godersi. Un giorno
principalmente, in cui ricorreva pubblica festa solita celebrarsi in città,
restò sola in casa, non senza molto rammarico, obbligata a riflettere circa il
suo miserabile stato. Affacciatasi ad una finestra, che aveva la protezione di
una serrata affinchè non fosse assalita dagli sguardi altrui, accrebbe il suo
cordoglio mentre anche le più vili donnicciole incamminate a piaceri per i
quali sortivano tutte liete le sue soddisfazioni.
La storia continua con l’arrivo di una mendicante che
comincia a chiacchierare con la ragazza. La vecchia megera è una ex prostituta
che ha visto tempi migliori in gioventù e si offre come guida e insegnante per
una vita piena di piaceri e di soddisfazioni. La ragazza accetta e comincia
così il suo cammino verso l’onorata
professione di prostituta.
Ho voluto riportare l’inizio per quella bellissima
descrizione di un ambiente di fame e di povertà , argomenti che mi permettono
qualche divagazione sul tema antico ma
sempre attuale della fame. Problema molto serio ed importante e, come tutte le
cose serie, da trattare con l’unica arma di difesa che abbiamo noi poveri:
l’ironia.
Cominciamo col chiedere consiglio ad un dei maggiori esperti
di digiuno: Totò ( Antonio de Curtis).
Due citazioni. La mia fame è atavica; vengo da una dinastia di morti di fame.
E ancora: A casa nostra nel caffellatte non ci mettiamo niente; né il caffè né il latte.
Un antico proverbio cinese conferma la necessità della lotta
contro la fame.
Mangiare è uno dei quattro scopi della vita. Quali siano gli altri tre non si sa.
Mangiare è uno dei quattro scopi della vita. Quali siano gli altri tre non si sa.
Invece il poeta rinascimentale Luigi Pulci (1432-1481)
specifica nel suo “Morgante.
Ma sopra tutto nel
buon vino ho fede,
e credo che sia salvo
chi gli crede,
e credo nelle torte e
nel tortello;
l’uno è la madre,
e l’altro è il figliuolo;
il vero paternostro è
il fegatello.
Quando si dice una solida fede religiosa.
Altro che Filippo
Marinetti (1876-1944) padre del futurismo che chiede l’abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica. Al rogo, al rogo!
Anche gli americani hanno dichiarato guerra alla buona
cucina, viste le porcherie che mangiano. In compenso bevono, quanto bevono!
Gradisce un whisky?
Solo un dito.
Ma prima non vuole un
whisky?
Non è facile capire il senso della vita e non è facile
capire neppure gli americani. In effetti la lotta per la fame è principalmente
un problema di benessere non una scelta di vita. Esprime il concetto con molta
chiarezza Aldo di “ Aldo, Giovanni e
Giacomo.”
In Africa, tutte le
mattine, quando sorge il sole, una gazzella muore. Si sveglia già morta perché
si vede che non stava molto bene il giorno prima. Sempre in Africa, tutte le
mattine, quando sorge il sole, un leone appena si sveglia comincia a correre
per evitare di fare la fine della gazzella che è morta il giorno prima. E poi,
correndo, vede che c’è già la gazzella che è morta il giorno prima e dice: “ Che cosa corro a fare? Mi fermo e
gli do due mozzicate.” Comunque dove voglio arrivare? Non è importante che tu
sia un crotalo o un pavone. L’importante è che se muori, me lo dici prima.
BIBLIOGRAFIA
NOTE
Apostasia ( dal greco apo=lontano e stasi=restare)
Indica un individuo che abbandona volontariamente e formalmente la propria
religione. Il più famoso della storia fu Giuliano Laprostata.
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