Pendolari

di Leo Spanu

Conosco bene la fatica e il sonno dei pendolari. Io, da studente, mi alzavo alle quattro e mezzo del mattino per andare a Milano  (da Brescia). Era il treno migliore per studenti ed operai, faceva tutte le fermate, due ore di viaggio ma alle sette e mezzo potevi scendere alla stazione di Lambrate, la più vicina a Città Studi. A volte ci capitava di prendere il direttissimo, solo un’ora di viaggio e poi partiva un’ora dopo  “ la tradotta” dei pendolari. L’unico problema era che fermava alla Stazione Centrale. Allora si guardava il primo treno che faceva una fermata a Lambrate, non era importante la destinazione, si saliva sull’ultimo vagone e si cominciava a camminare verso  la parte anteriore del treno precedendo  e controllando il bigliettaio. Infatti non pagavamo il biglietto. Piccoli furti da studenti, del resto il viaggio non durava neanche cinque minuti.
D’inverno, in quei treni, c’era un freddo da morire, il riscaldamento era un fatto occasionale. Spesso c’era un tanfo d’anice che veniva la tentazione di aprire i finestrini. Molti, la mattina, prima di salire sul treno, si facevano un bicchierino per scaldarsi.
Ho trascorso molto tempo su quei treni. A volte, quando le lezioni finivano il primo pomeriggio e c’era troppo freddo per stare in giro per Milano, andavo a piedi alla stazione Centrale ( sono molti chilometri), sceglievo il treno che mi avrebbe riportato a casa la sera e mi chiudevo in qualche scompartimento vuoto a  studiare, a volte a sognare. Almeno  era più  caldo che fuori. Verso le sei del pomeriggio arrivavano i primi studenti, eravamo un bel gruppo di giovani che facevano i pendolari, 180 chilometri al giorno 90 + 90. C’era naturalmente il mio amico Luigi, compagno di liceo e c’era C. una ragazza bresciana conosciuta su treno. Simpatizzammo subito perché io ero un carattere chiuso e musone mentre lei era fatta di argento vivo e di allegria. Si portava, nella borsetta, gli abiti per cambiarsi in treno, delle minigonne invisibili, magliette aderenti e stivali alti. Quando usciva di casa aveva l’aspetto di una crocerossina poi si trasformava in una vamp a caccia di uomini ( almeno questo sembrava anche se non era vero). E’ stata un' amica per me, forse l’unica perché io non credo e non ho mai creduto nell’amicizia tra un uomo e una donna. Magari dopo.
Una sera d’inverno che cercavo di conservare il poco caldo che fuggiva dal mio corpo ( il riscaldamento nei treni veniva acceso poco prima della partenza) e mi annoiavo da un paio d’ore in quel vagone deserto, sentii una risata squillante e poi apparve una ragazza che sembrava la primavera. Ma ne innamorai di colpo e per un paio di giorni pensai che non avevo mai visto  niente di più bello in vita mia. Non era vero, ma in certe giornate  a Milano, quando il cielo diventa nero d’improvviso, hai bisogno di sognare altri colori e altri cieli.
C’è molta vita i quei treni pendolari che trasportano la gente avanti e indietro, ci sono storie e ci sono speranze. Io lo so perché in quei treni ho lasciato molto del mio tempo e dei miei sogni.

Quelle donne morte e quei feriti a Pioltello, vicino a Milano, sono mie sorelle e miei fratelli.

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