Racconto del mese: L'uomo disperso

L'uomo disperso.  1984

Fu un'idea improvvisa. Perdersi in pochi ettari di bosco richiedeva uno sforzo mentale non comune eppure, tra quegli alberi secolari che svettavano come colonne sul pendio della collina, era istintivo immaginarsi come dentro una specie di prigione vegetale, coi pensieri che s'intrecciavano con i rami e le foglie.
Sfocando lo sguardo si poteva riportare tutto sullo stesso piano annullando ogni prospettiva come in un mosaico bizantino o nei disegni di un bambino. Con ulteriore concentrazione le immagini del fondovalle diventavano vaghe e confuse in un unico colore .
La terra riarsa e i cespugli della macchia mediterranea perdevano consistenza fino a fondersi con il cielo.
L'uomo considerò il quadro generale con metodo quasi matematico.
Alle sue spalle le stradine grigie; le panchine e l'albergo dietro gli alberi potevano essere esclusi e spediti in un'altra dimensione. Era molto più semplice ridurre il mondo alla sola porzione che gli mostravano gli occhi ed anche questi erano solo uno strumento che per ignoranza e superficialità non sapeva utilizzare in maniera adeguata.
Che oggettività potevano avere quei brandelli di realtà. Se i fenomeni di diffrazione potevano modificare la lunghezza d'onda della luce ( così gli ricordavano lontane reminiscenze scolastiche) perchè non pensare che gli oggetti non sono quello che sembrano ma solo una percezione ingannevole e mutevole.
L'uomo non era, per abitudine, una persona che dedicava molto tempo alle meditazioni filosofiche. Al contrario l'impegno di vivere assorbiva quasi tutte le sue energie e quanto a pensare al senso della vita. Beh! Tutto tempo perso.
Ma quella breve vacanza lo aveva lasciato troppo libero. Una malattia e la successiva convalescenza ( “Necessaria e obbligatoria!” Aveva decretato il medico.) lo avevano relegato in un piccolo albergo nascosto tra i boschi. Un posto qualunque ai confini della civiltà, così l'uomo aveva esiliato il tempo e se stesso lontano dalle regole del vivere quotidiano. Per la prima volta doveva affrontare l'esperienza di una nuova solitudine in compagnia di se stesso, coi pensieri liberi e un senso di vuoto che gli facevano paura. Quei pochi giorni di riposo senza fare assolutamente nulla, niente televisione e giornali, avevano aperto profondi spazi nella mente e mostrato ferite che l'uomo non sapeva di possedere. Il silenzio dentro e intorno a lui non aveva confini.
La malattia, una banale influenza trascurata, lo aveva portato ad un passo dalla morte e, con sua grande sorpresa, gli aveva mostrato il suo passato come una storia chiusa e finita. Esisteva solo il presente, un groviglio di attimi in cui si sentiva un granello di sabbia sospeso nel nulla, un'entità estranea al mondo dove prima era stato un uomo qualunque.
L'idea della prigione era stata automatica ma il senso di benessere che aveva invaso il suo corpo gli aveva fatto desiderare di chiudersi davvero fra quelle pareti, di essere albero e bosco, di uscire dalla realtà.
Quella realtà che insisteva ad essere presente con le immagini del fondovalle che filtravano dalle sbarre di legno, con le strade d'asfalto come serpenti che strisciavano tra macchie di verde e blocchi di granito, tra le case sparse come funghi maligni e le nuvole che fuggivano tra il grigio delle montagne e l'azzurro scolorito del cielo.
L'uomo sentì che doveva andare oltre quella dimensione. Non bastava più isolarsi e rinchiudersi in una frazione di spazio. Doveva andare oltre lo spazio stesso, fuori del tempo.
L'uomo pensò di essere il bosco.


Ho ritirato le fotografie scattate durante le ultime vacanze. Molto strano, ricordo di aver ripreso scorci di paesaggi senza alcuna presenza umana. Eppure in ogni immagine c'è una macchia, un'ombra. Sembra una sagoma dal profilo vagamente umano, una specie di fantasma. E' ovunque, nei tronchi, tra le foglie, nelle macchie di cespugli. Un riflesso di luce probabilmente. Peccato, delle foto rovinate.

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