La pioggia nel pineto (R)
Leo Spanu
In questo afoso e insonne fine luglio provo a recuperare un articolo (scritto nel 2016) nel tentativo di rinfrescare almeno la mente. Per quanto riguarda il corpo dovrò trovare altre soluzioni. Voi fate come vi pare.
L’anno scorso, in occasione di un mio viaggio a Brescia per rivedere un mio vecchio amico e compagno di liceo, sono andato a Gardone Riviera, destinazione il Vittoriale di Gabriele D’Annunzio (1863-1938). Non era la mia prima visita ma, ogni volta, quell’incredibile monumento alla vanità riesce a colpirmi e a stupirmi. L’insieme di tante cose fasulle, pacchiane e spesso fuori di testa, potrebbe essere paragonato ai vari disneyland, gardaland o alle ignobili ricostruzioni in formato ridotto di Las Vegas (le architetture di Venezia, gli archi trionfali di Roma, la torre Eiffel di Parigi ecc.) anche se in realtà è impossibile raggiungere le vette di cattivo gusto degli americani. Invece nel Vittoriale ci sono scorci davvero belli. Di sicuro non la nave incorporata nella collina ma certe costruzioni, alcuni angoli del giardino e altri particolari (anche minimi) non lasciano indifferenti e fanno capire che dietro il gusto estetico eccessivo del Vate, c’è anche una concezione della bellezza che indica sensibilità e fantasia.
Certo “il superuomo”, malamente ispirato da Fiedrich Nietzche, riempie occhi, cuore e pensieri del massimo immaginabile, concepibile e possibile, come un dio in sedicesimo che vuole creare un mondo a sua immagine e somiglianza. Come un novello faraone, D’Annunzio costruisce la sua immortalità e ci riesce benissimo, visto che decenni dopo migliaia di turisti vengono a visitare questo “paese delle meraviglie” ed anch’io sono qui a domandarmi se quest’uomo borioso e pieno di se, è la stessa persona che, quando non giocava con le parole (arte in cui era veramente bravo) sapeva anche fare poesia.
Per fortuna non sono un professore o un critico e non devo dare risposte anche se ritengo che nelle scuole D’Annunzio (non solo lui in verità) dovrebbe essere recuperato per far conoscere alle giovani leve sempre più analfabete i padri della letteratura italiana e magari spiegare che poesia e rap non sono sinonimi e neppure parenti lontani.
In questa sede riporterò solo la prima strofa di una delle poesie più belle di D’Annunzio. Per chi volesse poi saperne di più (dell’uomo e del poeta) non mancano le possibilità anche su internet. La poesia è “La pioggia nel pineto” del 1902. E qui la parola è suono, colore ,immagine.
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie.
A questo punto ci siamo già persi e non possiamo più tornare indietro alle nostre case tristi, alle nostre strade rumorose, alle nostre città senz’anima. Che senso ha pensare, sognare, cercar di capire se i rumori diventano parole, le parole poesia , la poesia musica.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scogliosi ed irti,
piove sui mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Come sperare che il tempo ci dia ragione quando la nostra favola finisce qui, immersa e dispersa nello spirito silvestre di una natura senza confini. La nostra favola che ancora ci illude e ci delude mentre fuori piove sui nostri sogni.
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