La ragione e il torto

 di Leo Spanu

Provo sempre un profondo senso di fastidio a parlare di Matteo Salvini, una persona che non stimo come politico e, ancor meno, come uomo ma, una delle rare volte che ha detto qualcosa di decente, si è scatenato un inferno mediatico francamente esagerato. Il fatto è noto: un suo fidato collaboratore è stato accusato di possesso di droga e altro: notizia di scarso interesse se non fosse che l’indagato è un esperto di comunicazione, il suggeritore della politica (verbale) di Salvini. 

Ora il segretario leghista non è famoso per il suo “buonismo”: è un istigatore all’intolleranza verso gli altri, i cosidetti “diversi” (migranti, drogati, zingari), un politico che parla alla pancia della gente valorizzandone gli istinti più bassi, un fomentatore della cattiveria e della meschinità umana. Ma davanti all’amico “che ha sbagliato” ha trovato una parola di umanità, un sentimento che gli antichi romani definivano di “pietas”. Per la prima volta, in vita mia, ho sentito (per un solo attimo) simpatia per il dolore (autentico) di Salvini. Poi anch’io, come tanti, ho pensato: perché per tutti gli altri, nemici, avversari o gente comune, non ha provato la stessa comprensione? Non mi interessa polemizzare “sui due metri e due misure” che tanto stanno appassionando i giornalisti che devono vendere qualche copia in più o dare un valore alla loro continua presenza in televisione,  ma vorrei soffermarmi su come siamo diventati, dopo anni di continuo incitamento all’odio. 

Siamo tutti bravissimi a condannare i torti degli altri, molto meno attenti alle loro ragioni. 

Un esempio: i due fratelli che tempo fa hanno ucciso a pugni e a calci un ragazzo meritano una giusta punizione per il loro delitto. Ma lo stato non può rendersi complice della voglia di vendetta di un’opinione pubblica sempre in cerca di giustizia sommaria. Cosa vuol dire che quei due ragazzi debbano vivere nel terrore per le possibili “vendette”  dell’ambiente carcerario? Ma siamo davvero una società democratica e giusta? O dietro il tanto conclamato modernismo per una tecnologia così avanzata che non riusciamo a capirla e a controllarla (io per primo ma non sono solo) abbiamo l’animo da talebani civilizzati a parole? Perché la violenza psicologica, la pressione feroce dei mass  media, il giustizialismo spesso istigato dalla classe politica e da una magistratura non sempre all’altezza del suo compito sono solo una forma di tortura.  Il dolore fisico non sempre è il peggiore, ci sono sofferenze della mente e dell’animo insopportabili.

Perchè l’assassino di una ragazza si suicida, dopo oltre un mese in carcere e la “pratica” è chiusa? I familiari della ragazza non hanno il diritto di sapere cosa è successo ed anche i familiari dell’assassino non è giusto che possano capire le motivazione di un atto così terribile come un omicidio? Davvero la morte cancella tutto? Resta solo la retorica falsa e cattiva di certe trasmissioni televisive che campano sulla morbosità della gente?

Davanti a certi fatti di violenza è naturale indignarsi ma poi dobbiamo anche chiederci il perché. Non è certo avallando le pulsioni e gli istinti più bestiali  che si possono trovare le risposte;  le gogne mediatiche aggravano solo i problemi, anzi spesso rovinano la vita a persone innocenti. Ed anche quando sono colpevoli che diritto abbiamo noi di giudicare senza pietà perché il più delle volte le nostre sono sentenze senza appello. Troppo facile parlare di mostri: un tempo sono stati bambini, hanno sognato, hanno amato, hanno sperato. Come noi. Cosa li ha portati sulla cattiva strada?

Duemila anni fa un certo Gesù Cristo diceva: Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Noi non abbiamo ancora imparato niente.

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