Antonietta Boninu, archeologa

di Leo Spanu

Leggo, su La Nuova Sardegna di oggi, della scomparsa di Antonietta Boninu.

Ci siamo conosciuti nei primi anni 80, io ero un giovane assessore del comune di Sorso e, insieme all’amico e collega Antonio Salis, finanziavamo e scoprivamo le aeree archeologiche di santa Filitica, di Geritu, la nave romana di Maritza.  Antonietta Boninu era la responsabile della Soprintendenza: in  quelle occasioni conobbi anche Daniela Rovina, Eugenio Muroni, un futuro amico e altri. Conoscenze a tempo, pensavo allora, anche se la dottoressa Boninu mi invitò insieme all’amico Petronio Pani, suggeritore della politica archeologica del Comune di Sorso, all’inaugurazione del Museo della Maddalena. 

Finiti i lavori e i soldi, ognuno andò per la propria strada. Una dozzina di anni dopo mi ritrovai a lavorare, come precario, per il Ministero dei Beni Culturali. 

Prima all’Archivio di Stato come documentalista: m’è toccato controllare un tir di carte e cartacce provenienti dalla Questura di Sassari (esercizi pubblici). Ho recuperato e catalogato una sessantina di faldoni di documenti vari, il resto è andato al macero.

Poi sono passato all’archeologia, a Porto Torres. Ero una specie di caposquadra factotum con una squadra di operai (e amici) e dovevamo occuparci di tutto quello che non amano fare i dipendenti  pubblici: manutenzione delle aree archeologiche di Porto Torres, Alghero, Sorso: allestimento mostre (con il personale della Soprintendenza). All’Asinara, a Cala Reale abbiamo messo su un museo (progettato dalla facoltà di Architettura di Alghero) che era una meraviglia. Due mesi di lavoro quotidiano col rischio di perdere il traghetto per poi vedere, poco dopo come era stato lasciato decadere tutto. Una pena! 

Abbiamo fatto tante cose belle da meritarci l'apprezzamento di tutti, istituzioni comprese. Lo stato non ci pagava i contributi, non avevamo diritto alla malattia, e per qualche anno neppure alle ferie. Dopo cinque anni e mezzo di “lavori socialmente utili” non solo non siamo passati di ruolo (il personale assunto nel 2000 è passato di ruolo dopo solo tre mesi di lavoro) ma siamo stati scaricati alla MULTISS di Sassari, una società pubblica sovvenzionata dalla Provincia. 

Il ministero aveva dichiarato la mia squadra la “miglior squadra di manutenzione” d’Italia ed io come ringraziamento sono stato degradato: un livello in meno come qualifica e relativa riduzione di stipendio. 

Tutta questa premessa per presentare il quadro nel quale la dottoressa Boninu ed io ci siamo ritrovati. 

Per molto tempo la dottoressa (l’ho sempre chiamata così mentre lei mi chiamava Leo pur dandomi del lei. Lo so sembra un gioco di parole! ) mi ha trattato col suo abituale distacco poi un giorno, mentre si lavorava alle terme Pallottino, mi venne incontro sorridente (lei che non era l’immagine della simpatia e neppure io per la verità) e poi baci e abbracci:

-Non mi ero resa conto che lei era quel Leo!-  Aveva pure una fotografia scattata alla Maddalena di noi due insieme, con quindici anni di meno.

Da allora è cominciato un sincero rapporto di stima e di rispetto reciproco, pur nella differenza dei ruoli, e anche una strana forma di amicizia. La dottoressa Boninu era una donna di grande intelligenza ma anche un caratteraccio e una lingua pungente. Io con la mia squadra diventai il suo “braccio” operativo preferito per molti lavori. Quando mi affidò l’incarico di recuperare tutti i pezzi di Monte Prama  si presentò con un carico di vecchie coperte  militari, probabilmente residuati della seconda guerra mondiale.

-Ha svaligiato una caserma? - Le chiesi.

-Servono per proteggere le creature (chiamava così ogni pietra). Se le ferite, guai a voi.-

Nel Centro Restauri di Li Punti a Sassari ci fu messo a disposizione un capannone: costruimmo con tavoloni di legno, blocchetti di cemento, plastica nera da buste di rifiuti, un centinaio di basi dove sistemare in modo ordinato tutti pezzi che poi i restauratori avrebbero rimesso in piedi. Lei veniva ogni giorno a controllare, non le sfuggiva niente, segnalava anche il più piccolo errore, spesso con un ironia feroce che metteva in difficoltà qualcuno dei miei operai ma io la lasciavo dire: sapevo che era soddisfatta del nostro lavoro.

Non era donna facile d’accontentare, data la sua pignoleria. Un giorno mi disse:

-M’inventi qualcosa d’invisibile per esporre la testa di satiro (trovata, se non ricordo male, alle terme Maetkze) nell’Antiquarium di Porto Torres.- 

Col mio vice Paolo Spanu, studiammo un scheletrato in ferro saldato che non solo ebbe il suo plauso ma fu l’inizio per me, Paolo e Giovanni Pinna (altro sorsense) delle nostre “sfortune”. La dottoressa ormai si fidava sempre di più e solo di noi. Il ritrovamento e il recupero della statua di Ercole fu un faticaccia: nessuno poteva toccarla, solo noi. Lei controllava se c’erano impronte digitali estranee sul marmo.

Una volta le dissi: - Ma è sicura di non aver sbagliato mestiere? In confronto a lei Sherlock Holmes non è nessuno.-

Rispose seccamente: - Non faccia lo spiritoso.- Ho sempre avuto il sospetto che non gradisse subire le battute di spirito mentre a lei piaceva farle agli altri.

Ho sempre pensato che la dottoressa Boninu sarebbe stata un ottimo Soprintendente ma evidentemente a Roma avevano un’altra opinione. Mandavano a Sassari gente a fine carriera o altri di passaggio in attesa di meglio. Lei sarebbe stata la persona giusta per la sua conoscenza e per il suo carisma. Invece quello che dovrebbe essere il polo archeologico più importante della Sardegna è stato discriminato: a Porto Torres c’è un intera città romana da scoprire. Ma la politica sarda è incentrata, in tutto e per tutto, su Cagliari.

Anni dopo, una volta andati in pensione (prima io) ci siamo visti molte volte, specie la domenica di ogni fine mese, al mercatino dell’antiquariato di piazza Italia a Sassari.

Sempre con grande cordialità ma sempre dandoci del lei. Una volta le confessai che i miei quindici anni di lavoro presso la Soprintendenza erano stati per me, molto faticosi, non per il lavoro ma per l’ambiente.

-Troppa gente di  merda e con la puzza sotto il naso. Noi siamo stati trattati come schiavi, senza rispetto per la nostra dignità.-

Lei era rimasta perplessa sentendo le mie parole.

-Non me ne sono mai resa conto e mi dispiace davvero ma forse ha ragione.-

La dottoressa Boninu era abituata a trattare con sufficienza gli altri ma, secondo me, era solo un modo di presentarsi, forse per mascherare una sorta di timidezza. Io non l’ho mai sentita trattare qualcuno senza rispetto. Col gergo di oggi si potrebbe dire che era una gran rompiballe. Ce ne vorrebbero di donne così!

Ciao Antonietta, permettimi per una volta di darti del tu, fai buon viaggio.

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