Tutti al mare
di Leo Spanu
Io sono nato a due passi dal mare. In effetti il mio paese natio dista appena quattro chilometri, diciotto chilometri di spiagge sabbiose e
dune incorniciate da una pineta che conserva ancora le antiche piante della macchia mediterranea. Eppure il sorsense
è sempre stato un contadino; le campagne ricche di orti e di vigneti, le colline verde cupo per gli immensi oliveti, sono sempre stati il mondo reale dei miei compaesani. Il mare è sempre stato
lontano, in fondo allo sguardo come un confine tra la vita vera e un mondo
immaginario dall'altra parte. Io, poi,
ho cominciato a viaggiare che ero ancora infante. La prima tappa fu a Pesaro,
un mare grigio e senz’anima che chissà perché
non riesco a ricordare coi colori dell’estate. Le foto in bianco nero, io
e mio fratello minore con l’espressione
perplessa, raccontano di un tempo
incerto, magari felice, ma non riesco a ricordare. Poi via a Treviso: il mare è quello di Venezia,
troppo distante per essere una presenza
importante della mia infanzia. Ogni tanto mio padre ( che a Venezia lavorava) mi portava tra quei
canali e quei vicoli ma il mare era
sempre lontano. I canali e i fiumi di Treviso con l’acqua che si
nascondeva sotto le case erano un mare dove io non potevo navigare.
Ancora un altro viaggio a Brescia. Adesso si che il mare era davvero lontano, solo il lago con la sua acqua dal sapore dolciastro poteva tentare di
raggiungere il cielo. Il lago di Garda è così grande che spesso non si vede l’altra
sponda. Un’illusione di mare che non può bastare.
Da casa mia non si vede il mare, bisogna uscire sulla strada
e allora appare una striscia di blu; a
volte si confondono cielo e mare e l’isola dell'Asinara
è solo un profilo disegnato da una mano incerta. A volte i colori sono cosi
vivi, complice un sole impressionista, che vorrei essere un pittore per
fermare l’immagine sulla tela.
Neanch’io non sono mai stato uomo di mare. Quando ancora ci
andavo preferivo spiagge deserte, oppure verso Castelsardo, tra scogli e
insenature dove quasi non ti bagnavi
neppure i piedi per raccogliere qualche
patella. Poi coi bambini piccoli la
spiaggia della Marina, la spiaggia dei poveri. I ricchi e sedicenti ricchi sorsensi
“ lu pidocciu azzadu” ( quelli che si credono importanti e invece sono solo
pidocchiosi) frequentavano le spiagge di Stintino o di Alghero. Alla Marina solo famiglie piene
di bambini scatenati e rompiballe e qualche pensionato che brontolava troppo. Poi i miei figli sono cresciuti e hanno
cominciato a muoversi da soli ed io ho potuto finalmente starmene a casa.
Giusto in tempo per non assistere a spettacoli inverecondi . Cominciavano a
saltar via i primi reggiseni e tette che meritavano di rimanere nascoste si offrivano
impudiche agli sguardi perplessi di pensionati incerti tra lo scandalizzarsi o gustarsi lo spettacolo. Un
anziano signore disse una volta: Neanche mia moglie mi ha fatto vedere tanta
roba.
In effetti anche le mutandine dei costumi si stavano
restringendo in maniera incredibile, come golfini di lana lavati a caldo. Così
apparvero culatte con valli, buchi e anfratti. Franava tutto!
“Tutti al mare a mostrar le chiappe chiare” cantava
Gabriella Ferri. In effetti, dopo la caduta dell’impero romano ora toccava
assistere anche alla caduta dell'essere umano con conseguente decadenza di tette ( si, anche di uomini. Che tristezza!), panze e culoni d'ambo i sessi. Tutto
uno spettacolo di carne tremula e frullata esposta senza pudore agli occhi di
bimbi innocenti e di anziani rassegnati.
Con tanti saluti alla bellezza del mare, del cielo e della natura in
genere.
Dev’essere per questa ragione che il pittore olandese Michiel Schrijver dipinge i suoi paesaggi
marini senza persone o quasi. Architetture leggere anche quando sembrano
arrampicarsi sulla roccia, nei pochi spazi utili dove poter costruire. Dentro e
intorno ancora e sempre il mare.
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