L'eutanasia o la dolce morte
di Leo Spanu
E' di questi giorni una notizia terribile, una delle tante, l'ennesima: l'eutanasia applicata ad un (una minorenne). Una certa stampa è a caccia del nome, del sesso, dell'età, della malattia per dare in pasto ad un pubblico cannibale l'ennesima storia di sofferenza e poi tutte le polemiche sterili e stupide. Ho già espresso la mia opinione sull'eutanasia in un articolo scritto due anni fa ( titolo: Eutanasia di un amore) e non ho cambiato idea. E non perchè io creda di avere la verità in tasca. Su questo tema i dubbi sono continui e mi sostiene una sola certezza : quella della assoluta e totale solidarietà con chi deve fare i conti con questa scelta. Io non giudico e mi rifiuto di giudicare; trovo irritanti, per usare un eufemismo, certe opinioni, anche di persone di valore, su temi che invece richiederebbero molta, moltissima delicatezza e sensibilità. Qualche volta anche il silenzio. Ma la vita degli altri, il loro dolore sono diventati merce da vendere. E si vendono bene. Basta pensare al suicidio di quella infelice ragazza di Napoli. Quanti giudici implacabili e quante persone per bene a cercare su internet qualche immagine pornografica. Altro che pietà, la morte ha fatto lievitare il prezzo di mercato di quelle scene derivate da una concezione, probabilmente confusa, del sesso e dell'amore.
A seguire l'articolo citato, pubblicato anche sul blog di Piero Murineddu.
Eutanasia di un amore
Nel 1977 lo scrittore Giorgio Saviane vinse il premio
Bancarella col romanzo “Eutanasia di un amore”. L’anno dopo Enrico Maria
Salerno ne ricavò un film di grande successo con lo stesso titolo, protagonisti
Tony Musante e Ornella Muti. Un film mieloso e melenso da un romanzo mediocre.
Da cancellare tutto e subito dalla memoria se non fosse per quel titolo che
attirò la mia attenzione. Due termini apparentemente inconciliabili e
antitetici: eutanasia e amore. La negazione della vita il primo e l’esaltazione
della stessa il secondo. Apparentemente. Infatti i dubbi che ho sempre avuto
sul senso di questo binomio oggi si sono sciolti definitivamente. E’ bastato
poco: Brittany Naynard, la giovane americana dal dolce sorriso, malata in fase terminale,
ha deciso di chiudere la sua esistenza anticipatamente. Molta stampa ha parlato
di “suicidio” assistito. Niente di più sbagliato. La scelta di Brittany ci parla e ci racconta di un grande amore per
la vita. Il suicidio è quasi sempre, credo, un momento di fuga. Non esprimo mai
giudizi di merito in questi casi perché non sono in grado di capirne le
motivazioni ma, ogni volta che leggo di un suicidio, anche di persone
totalmente sconosciute, provo un profondo senso di tristezza insieme ad affetto
e solidarietà come per un amico che se ne va. Per chi non può più sopportare il
dolore, per chi precipita nell’inferno
della sofferenza non valgono le leggi degli uomini o di Dio per i credenti.
Non possiamo decidere quando nascere ma possiamo decidere quando
andarcene. E’ un diritto inalienabile di ciascun individuo, l’espressione più
alta e terribile della libertà. Chi siamo noi per imporre ad un nostro simile
sofferenze inaudite in nome di norme e dogmi assoluti? Chi ci ha dato il potere
di giudicare e condizionare la vita degli altri? A volte mi capita di vedere in
TV dei servizi sui malati di SLA. Non ascolto mai le parole dette, mi concentro su quei poveri
corpi incapaci spesso anche di parlare, solo leggeri movimenti degli occhi, e
mi chiedo: condividono tutte le cose
dette in loro nome o invece urlano dentro il loro mondo di silenzio. Lo
spettacolo, perché questo spesso diventa, della sofferenza esibita senza pietà,
mi spaventa. Il dolore ha bisogno di rispetto, di comprensione, di
riservatezza.
Invece mi pare che ci sia una specie di compiacimento nel
mostrare persone in difficoltà e situazioni terribili. Anni fa, ho dedicato
molto tempo alla lettura di libri che trattavano della seconda guerra mondiale,
delle sue degenerazioni, di quella mostruosità che è stato il nazismo. Decine e
decine di libri di vari autori per capire le ragioni che hanno portato un
popolo civile come quello tedesco a creare Auschwitz. Non ho capito. Ho provato
anche a guardare le immagini di quella tragedia ma ho smesso subito. Mi sono
sentito male. Ancora oggi evito certe immagini perché l’angoscia mi toglie il
sonno e l’appetito. Ma sarebbe il minimo: infatti provo un senso di vergogna
perché quelle azioni sono state volute da uomini come me. Appartengo quindi ad
una razza che pratica scientemente il male e spesso se ne vanta. E’ possibile
dimettersi dalla razza umana? A volte mi vengono queste tentazioni magari
quando i militanti dell’Isis decapitano gli ostaggi in diretta.
Brittany invece ci lancia un messaggio d’amore. Per il marito,
per i familiari, per gli amici, per le cose che avrebbe voluto fare, per i
sogni che non potrà realizzare. Amore per la vita perché la vita è anche questo:
è amore, è arte, è bellezza, è sete di conoscenza, è allegria. Allora perché
cancellare tutto questo per guadagnare un mese o sei di terribile agonia. In
nome di quale principio devi maledire tutto quello che fino al giorno prima eri
tu? Perché il dolore ti cambia, ti trasforma. Il dolore è una bestia cieca e
feroce che spazza ogni residuo di umanità.
A me piace immaginare Brittany col suo dolce sorriso di
oggi, non con i lineamenti del viso stravolti dalla sofferenza fra qualche
mese. Mi piace ricordare le persone care con il volto dei giorni felici non con
una maschera di dolore. Perché la morte è nell’ordine naturale delle cose, non
dovrebbe far paura. Allora che sia una dolce morte, tenendo per mano la persona
che ami e con gli occhi rivolti ad un cielo azzurro e senza nuvole.
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