la demolizione dei casotti
La demolizione dei casotti da Marina di Sorso a Platamona
di Leo Spanu
I protagonisti di quella “strana scelta” furono i giovani
assessori della prima giunta Bonfigli: Bruno Melis, Sandro Roggio, Leo Spanu. Come
scritto in un precedente articolo ( vedi Giuseppe Borio), nei primi anni 80 del secolo scorso nasceva una nuova concezione dell’utilizzo dell’ambiente basata sul
rispetto e su una gestione intelligente e responsabile del territorio. Nuova perché
il partito del mattone aveva ( ed ha) molti sostenitori in tutte le fasce della
società e finisce col condizionare pesantemente le classi politiche e dirigenti
di ogni stagione. Negli anni 70, le amministrazioni comunali
di Sorso, in nome di un presunto sviluppo turistico, avevano dato il via ad una
serie di lottizzazioni che avevano riempito la costa di seconde case: Centro
Commerciale, Arboriamar, Villaggio grigio e altri insediamenti di grosso
impatto economico. Nella zona di Porchile invece le case spuntavano come funghi
sulla base di iniziative individuali, l’abusivismo era una norma. Solo Antonio
Salis, assessore socialista della giunta Carta, cercò di mettere ordine in quella
specie di assalto alla diligenza ma fu costretto alle dimissioni. Per coloro
che non potevano permettersi la villa al mare, c’erano i casotti. Partivano
dalla Marina di Sorso e arrivano oltre la spiaggia di Platamona (competenza di
Sorso) fino quasi alla torre di Abbacurrente (competenza di Sassari).
All’inizio (anni 50) avevano anche una loro eleganza, erano in legno e disposti
in ordine geometrico, formando vere e proprie vie di un villaggio, poi col
tempo erano diventati agglomerati labirintici ed, in alcune zone, quasi delle
bidonvilles. L’idea di cominciare a ridisegnare il territorio secondo una
logica diversa non poteva che partire dai casotti per la semplice ragione che
le procedure per la demolizione avevano tempi abbastanza brevi. Alberto Boi,
all’epoca funzionario dell’ufficio ruspe della regione (vigilanza edilizia)
scrive sulla Nuova Sardegna del 26/6/2003: Le
prime ruspe avevano preceduto la legge (regionale) perché contava il decisionismo dei comuni. La decisione degli
amministratori di Sorso fu una scelta coraggiosa ma fu sottovalutata e accompagnata da feroce
ironia e sberleffi. Un mio amico, importante politico sassarese, decise di
comprarsi un casotto a Platamona , un grosso affare disse lui ( c’era un ricco
mercato di compravendita di casotti). Lo sconsigliai vivamente ma lui mi
rispose che non avremmo mai potuto fare “una cosa” (così la definì) impopolare
e antipolitica. Il mio amico sfruttò il suo investimento solo per pochi fine
settimane poi mi tolse il saluto per mesi. E qui mi pare opportuno fare una
considerazione riguardante il modo di concepire la politica, ieri e oggi. In
quegli anni, il concetto che un amministratore pubblico dovesse fare gli
interessi della comunità che rappresenta cominciava a perdere di valore. Ogni
azione doveva essere finalizzata solo ad aumentare il consenso elettorale. Nei
casi migliori. Oggi fare l’amministratore pubblico è diventato un lavoro come
tanti altri. Con la differenza che in questo campo non è richiesta nessuna
competenza: infatti anche gli asini hanno imparato a volare con tanti saluti
per il benessere comune. Tornando ai casotti, bisogna dire che nessuno diede credito
all’iniziativa dell’amministrazione comunale
di Sorso.
Era impensabile che un’operazione (la prima in Sardegna fra
l’altro) così assurda andasse in porto. Chi , dotato di buon senso, poteva
immaginare che tre giovani amministratori si sarebbero messi “in bocca ai
cannoni”? Appena fu chiaro a tutti che i casotti sarebbero stati demoliti
davvero, i politici sassaresi di tutti i partiti si agitarono disperatamente
per fermare l’apocalisse. Quando le ruspe arrivarono a Sorso, anche il sindaco
Bonfigli ebbe un mancamento. Neppure lui aveva creduto alla volontà dei suoi
collaboratori. Si decise, comunque, di partire dalla Marina di Sorso per non
dare l’idea di una specie di rivincita nei riguardi degli”odiati” cugini
sassaresi. Melis, Roggio e Spanu si presentarono nel piazzale della Marina
dove, insieme alle ruspe, alle forze dell’ordine e al personale della
Capitaneria di porto, li aspettava un nutrito e inferocito gruppo di
proprietari dei casotti. La discussione fu molto vivace e volarono espressioni
molto colorite ma gli amministratori spiegarono pazientemente le loro ragioni,
e malgrado un po’ di tremarella e qualche spavento, non furono linciati sul
posto come avevano profetizzato molti sedicenti amici .
Dopo qualche giorno fu evidente che, a parte gli interessati,
l’opinione pubblica era favorevole a quell’intervento. Il sindaco Bonfigli tirò
un sospiro di sollievo e riprese il comando delle operazioni.
Per onestà intellettuale bisogna dire che una soluzione così
radicale come la demolizione non poteva e non doveva essere l’unica risposta a
tutti i problemi che c’erano dietro quella situazione. Il turismo cosidetto
sociale, quello dei cittadini che non hanno grandi risorse economiche, aveva
bisogno anche di altri interventi che purtroppo non ci sono stati. La
amministrazioni successive non ebbero il coraggio o la volontà di realizzare i
vari progetti previsti da un programma più ampio. Recupero dello stagno di
Platamona, utilizzo pubblico della pineta, acquisizione e ristrutturazione Lido
Iride, sistemazione Marina di Sorso (piazzale e pista di pattinaggio),
completamento campeggio comunale (Li Nibari), aree per parcheggi e spazi per
strutture prefabbricate da utilizzare per servizi, bar e tanto altro. Poche
cose furono fatte e il futuro della costa è ancora tutto da inventare. Anche il
Consorzio di Platamona, nato con lo scopo di programmare lo sviluppo turistico
della costa e formato dalla provincia di Sassari oltre ai comuni di Sassari,
Sorso, Porto Torres e Sennori, si rivelò solo uno dei tanti inutili carrozzoni.
La situazione igienico-sanitaria intanto era arrivata a livelli di emergenza. Erano
sorti veri e propri villaggi abusivi non solo in legno ma anche di lamiera e
cartone. Qualcuno aveva recintato un rettangolo di terra dentro la pineta e
ricavato “un orticello di guerra”. Il tutto poggiava su un mare di liquami ( un operaio addetto ai lavori sentenziò: pa me, vi sò più di milli tambullani di
m. Traduzione: per me ci sono più di mille bidoni di m.). L’intervento di
demolizione dei casotti, da scelta politica diventava un atto dovuto per la
pubblica salute. Tra le tante sorprese venute alla luce durante i lavori c’è da
segnalare la costruzione abusiva di cantine, tavernette e altre comodità, in muratura e in materiali pregiati. Sotto i
semplici casotti si nascondevano appartamenti dotati di tutti i confort. Ci
vollero innumerevoli viaggi per portare via il materiale di risulta e mesi di
lavoro ma lo spettacolo della spiaggia di Platamona libera da qualsiasi
sbarramento attirò comitive di curiosi da tutto l’hinterland. Nessuno, neanche
i più anziani, ricordava che la spiaggia fosse tanto bella.
Articolo pubblicato sul Corriere Turritano nr. 20 del 16
novembre 2012
Commenti
Posta un commento